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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Kamome shokudō (かもめ食堂, Kamome Diner)

 

mv5bndqwowniytctmdk5yi00mdllltk0mzktmjcwnzlinwi2otm2xkeyxkfqcgdeqxvynzi1nzmxnzm-_v1_Kamome shokudō (かもめ食堂, Kamome Diner). Regia e sceneggiatura: Ogigami Naoko. Soggetto: dal romanzo omonimo di Mure Yōko. Fotografia: Tuomo Virtanen. Scenografia: Annika Björkman. Costumi: Horikoshi Kinue. Montaggio: Fushima Shin’ichi. Musica: Kondō Tetsuo. Interpreti e personaggi: Kobayashi Satomi  (Sachie), Katagiri (Midori), Motai Masako (Masako), Jarkko Niemi (Tommi Hiltunen), Tarja Markus (Liisa), Markku Peltola (Matti). Produttori: Kasumizawa Hanako per Nippon Television Network, Video Audio Project. Durata: 102′.Uscita nelle sale giapponesi: 11 marzo 2006.
Links: Sito ufficialeAsianworld Mark Schilling (Japan Times)
Punteggio ★★★★  1/2
Sachie è una minuta, giovane donna giapponese che ha aperto da circa un mese un piccolo ristorante in una tranquilla via di Helsinki. La sala è però sempre vuota, e le uniche persone che regolarmente vi sostano davanti si limitano a fare commenti sulla nuova arrivata, non rispondendo mai ai suoi sorrisi di saluto. Un giorno, inaspettatamente, entra il primo cliente: un ragazzo appassionato di manga, come dimostra il disegno sulla sua maglietta, con una buona conoscenza della lingua giapponese. Una curiosa richiesta di Tommi porta la giovane donna ad avvicinare una sua spaesata conterranea, Midori, seduta in una libreria, e ad accoglierla a casa propria, prima, e come aiuto nel ristorante, poi. Nel tentativo di incrementare il numero di clienti, proprio Midori convincerà Sachie a tentare nuove strade culinarie che, inizialmente, si riveleranno fallimentari. Il profumo del rotolo alla cannella che si espande dal ristorante attirerà però, finalmente, i primi avventori, ognuno segnato da qualche difficoltà appena accennata e avvolto nella propria discreta solitudine. Fra questi, la signora Masako, dal Giappone ad Helsinki perché attratta dalla leggerezza e tranquillità dei finlandesi; Liisa, disperata per l’abbandono del marito; Matti, uomo dagli occhi malinconici e dal passato nebuloso che insegna a Sachie un rito per rendere migliore il caffè. Seduti l’uno vicino all’altro, intorno a un prelibato piatto di onigiri, il piccolo gruppo affronterà i tanti problemi che amareggiano la vita di ognuno, dando vita a una sorta di nucleo famigliare fondato su autentici legami affettivi. Poco alla volta il diner si riempirà, come Sachie aveva sempre sperato e, in fondo, sempre saputo.
Al suo ristorantino giapponese aperto a Helsinki, Sachie ha dato il nome di Kamome(gabbiano), come l’esemplare finlandese, tozzo e sgraziato, descritto dalla voce off della protagonista, simile al gatto grasso che da bambina amava vedere mangiare di gusto. Al cibo Sachie ha continuato a dedicarsi, ma nessun cliente ha mai messo piede nel suo diner e persino i vicini sembrano piuttosto scettici sulla cucina della ‘straniera’. Il primo cliente, non a caso un giovane che già conosce la cultura nipponica e quindi non nutre  pregiudizi al riguardo, porge in perfetto giapponese la bizzarra richiesta di poter sentire la canzone di un cartoon, diventando così l’inconsapevole motore dell’azione. All’interno di una libreria, Sachie gira la domanda a una donna che è giunta dal Giappone a Helsinki puntando un dito a occhi chiusi sul mappamondo, Midori, la quale poco prima osservava stranita le strade della città con una carta in mano. Il montaggio alternato fra ciò che avviene all’interno del ristorante e la realtà esterna in cui si muovono, o da cui faranno ingresso, i diversi personaggi, sarà una costante del film. Fra le due realtà, l’immensa vetrina trasparente del locale, di fronte alla quale compaiono, di volta in volta, quasi a passarsi il testimone, i diversi indimenticabili avventori che, una volta all’interno, si ‘rifletteranno’ nella stessa vetrina o nel lungo specchio che attraversa la sala, quasi a mostrare in controluce la propria interiorità.
La trasparenza è peraltro la cifra stilistica del film e del suo ambiente principe – il diner – composto, accogliente, minimal, delicato nei colori bianchi e azzurrati come nella gestione da parte di Sachie. Simmetria, grazia e frontalità contraddistinguono anche la prossemica dei personaggi che si ritrovano a parlare di fronte a un caffè caldo o a un piatto tradizionale giapponese, o si impegnano nell’esecuzione di mosse di aikido (ricorrenti nei film della Ogigami). Midori e Sachie nella libreria, come a casa di quest’ultima, parlano, infatti, di profilo, sedute a un tavolino, riprese da una camera che le mette a fuoco e si avvicina loro in modo quasi impercettibile. Lo stesso discreto movimento penetrerà l’essenziale dialogo fra Sachie e Matti. Costui (l’indimenticato Markku Peltola de L’uomo senza passato di Aki Kaurismäki) le insegna una formula magica che rende migliore il caffè, ma solo se pronunciata con il cuore e ben sapendo che la bevanda è di gran lunga migliore se qualcuno la prepara per te. Questa frase, in cui Sachie ritrova le identiche parole pronunciate dal padre quando, solo due volte l’anno, le preparava gli onigiri, sembra infrangere la compostezza dell’inquadratura e del volto di Sachie: un carrello circolare abbraccia la figura della giovane donna che mostra per la prima volta un leggero ed appena accennato turbamento. La delicata sensibilità di Sachie costantemente trapela e ammanta il suo ristorante (Liisa le dirà «Il tuo diner ti si addice»): suo è infatti il punto di vista più frequente – dietro il banco da lavoro – all’interno della sala e sulla strada su cui essa si affaccia; suoi gli occhi sui piatti che cucina e che sembrano essere preparati appositamente per i singoli clienti: a ogni nuovo personaggio che fa ingresso nel locale e ne diventa cliente sembra infatti corrispondere di volta in volta un piatto nuovo e unico.
La cura delle persone, del singolo, torna, del resto, nei discorsi e nei gesti di tutti i personaggi che abitano il film: Midori domanda più volte a Sachie se all’ultima sua cena, prima della fine del mondo, lei verrebbe invitata; Masako decide di rimanere a Helsinki nel momento in cui le viene inspiegabilmente affidato un gatto dal signore che le passava silenziosamente accanto, al porto, mentre lei telefonava chiedendo della sua valigia, delle ‘sue cose’, smarrite; Liisa si riprende dall’abbandono del marito dopo aver parlato del suo dolore proprio a Masako, che comprende nonostante non parli la sua lingua, e dopo un rito voodoo che non fa danni a nessuno; Tommi, primo cliente assoluto, che quindi non dovrà mai pagare i suoi ordini, rivela alle donne il segreto della calma e tranquillità dei finlandesi: i loro boschi. Ogni personaggio, con la propria inesauribile sensibilità, incarna e rappresenta una delle varie età e dei vari aspetti della solitudine: l’otakuadolescente che sembra non avere amici; la donna rifiutata e l’uomo che la lascia e vive a sua volta nell’abbandono; Masako che perde la valigia e la ritrova priva dei suoi oggetti personali ma colma dei funghi che aveva raccolto e smarrito nel bosco (e che, insieme ai suoni della natura, la riportano nell’altrove spazio – temporale inondato di luce e verde in cui aveva trovato l’incanto e la pace). Anche Masako abiterà questo curioso paese abitato da persone che, con grande stupore e invidia, alla tv aveva visto prendere tanto sul serio una competizione di air guitar (gara che tornerà nel successivo Toilet) e divertirsi della propria leggerezza.
Della solitudine pudica di Sachie poco sappiamo, ma la ‘sentiamo’ nostra nei momenti che si concede in piscina, la sera, nuotando sola, fino all’ultima vasca del film, quando si abbandonerà all’acqua godendosi l’applauso dei tanti nuotatori materializzatisi improvvisamente a tributarle gli onori per il successo del diner. Appuntato sul suo costume nero, a sinistra, si potrà vedere un piccolo cuore rosso. Allo stesso modo, lo sguardo dello spettatore si era fermato sul suo bel volto quando, sentita  la parola «Una delizia!» riferita al suo caffè, lei si era voltata verso Matti come se l’uomo avesse così pronunciato il suo nome. In egual misura ci si sente per un attimo alleggeriti del peso della vita di fronte al suo perfetto cenno di saluto che ne rispecchia la personalità – così come l’inchino di Midori, troppo sbrigativo e secco, e quello eccessivamente ossequioso  di Masako, evidenziano, in questo ritaglio di mondo, il loro carattere -.
La malinconia lieve che vena la pellicola si apre in alcuni momenti a un sottile umorismo tutto nipponico (come quando i tentativi falliti di nuovi accostamenti culinari vengono sottolineati dalla scompostezza delle uniche riprese con camera a mano) e all’esplosione di colori che marca in particolare la sequenza in cui le donne del film si concedono una giornata tutta per loro in un bar di fronte al mare. Nella successione dei primi piani delle signore, sedute in fila con strani cappelli e ognuna con occhiali da sole colorati (occhiali che indosseranno tutti i personaggi del film successivo Megane), ritroviamo le tinte, le modalità di ripresa e il sentimento di unità e collaborazione che teneva compatti i piccoli di Barber Yoshino in difesa della loro libertà di espressione (la propria capigliatura).
Pochi e discreti movimenti di macchina, frequenti e morbidamente colorati campi lunghi, attenzione al dettaglio, uso naturale della luce (quella, fresca e bellissima, del sole fino a mezzanotte di Helsinki), tempi dilatati, personaggi al loro primo apparire inquadrati soli nella loro unicità, musica mai invadente, pulizia delle forme e dell’immagine: ogni scelta registica contribuisce a creare l’atmosfera di pacata serenità in cui i personaggi si immergono e che rispecchia la loro interiorità, quella per cui «una persona sola è una persona sola ovunque», ma anche una dimensione in cui le persone sole al mondo, abbracciate in un ultimo, avvolgente carrello circolare, possono esserlo insieme. [Manuela Russo]
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