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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Koi wa go shichi go (恋は五七五)


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Koi wa go shichi go (恋は五・七・五!, Love is Five, Seven, Five). Regia, soggetto e sceneggiatura: Ogigami Naoko. Fotografia: Shibasaki Kō. Montaggio: Abe Hirohide. Musica: Ide Hiroko. Interpreti: Seki Megumi, Kobayashi Kinako, Hasunuma Akane, Hashizume Ryō, Sugimoto Tetta, Hosoyamada Takato, Takaoka Saki, Motai Masako, Emoto Akira. Durata: 105′. Anno di produzione: 2004. Uscita nelle sale giapponesi: 26 marzo 2005.

Link: Mark Schilling (Japan Times) 
Punteggio ★★★1/2   
Takayama Haruko (Seki Megumi), cresciuta all’estero, finisce suo malgrado in un liceo di provincia dove fatica perché conosce bene l’inglese ma non i kanji. Un giorno, vedendo che una sua compagna, Mako (Kobayashi Kinako), viene maltrattata da un altro studente, ne prende le difese e stende il bulletto al tappeto. Una terza studentessa, P-chan (Hasunuma Akane), appassionata di ukelele, assistendo alla scena elegge immediatamente Haruko come sua adorata senpai e non si stacca più da lei. Mako, addolorata per essere stata scacciata dal gruppo delle cheerleader della squadra di baseball poiché grassa e brutta, medita il suicidio, sale sul tetto della scuola per gettarsi ma lì incontra Tsuchiyama (Hosoyamada Takahito), un piacente studente con la passione della fotografia, il quale le chiede di recitare la sua poesia di morte. Lei lo fa e lui la loda senza ironia. Inutile dire che Mako si innamora di Tsuchiyama, ma lui è già innamorato segretamente di Haruko, che fotografa di nascosto a ogni pié sospinto. 
Nel frattempo, una enigmatica preside (e come potrebbe non essere tale, visto che l’attrice è Motai Masako?) impone allo spaesato professor Masuo (Tsugimoto Tetta) di far partecipare la  scuola al torneo annuale di haiku, l’Haiku Kōshien [Il shien, cioè le finali nazionali del campionato di baseball dei licei, è il rito tradizionale dell’estate giapponese. Effettivamente un haiku koushien si svolge ogni anno a Matsuyama e, a giudicare dalle immagini diffuse in rete, le scene del film – girato peraltro proprio a Matsuyama – corrispondono abbastanza alla realtà]. La presunta squadra ha però solo un componente, l’appassionato ma non creativo Yamagishi (Hashizume Ryō), mentre ne occorrono almeno cinque. L’insegnante di giapponese, a sua volta, convoca Haruko e le pone un drammatico aut aut: passare l’estate a recuperare lo studio dei kanji oppure partecipare alla squadra di haiku.
Il giorno della convocazione del club di haiku, si presentano Yamagishi, Mako e Haruko, seguita dalla fedele P-chan e da Tsuchiyama. La squadra è fatta ma, se si eccettua Yamagishi, nessuno degli altri ha il minimo interesse per la poesia. Lo stesso Masuo non pare avere molte idee sul da farsi ma la sua forza sta nell’essere un buon insegnante tout court: invece di teorizzare e far esercitare meccanicamente, cerca di far nascere nei ragazzi un interesse per la natura, dove gli haiku vivono, portandoli a passeggio nei campi o al mare.
In preparazione del torneo, i cinque disputano un incontro con la squadra vincitrice dell’ultimo Haiku Kōshien, un folto gruppo di simil-soldatini con la stessa tuta che si muovo e scandiscono i loro haiku in modo quasi marziale, dai quali vengono non solo sconfitti ma addirittura umiliati e offesi. Sarà ancora una volta il professor Masuo a trovare il modo per incoraggiarli. Le sue parole sono significative per il senso di tutto il film: “Quando scrivete haiku, divertitevi. Anche se i vostri haiku non sono perfetti, non importa. L’importante è che vi divertiate”. Armati, seppur ancora timidamente, di questo entusiasmo, si presentano al torneo e incontrano proprio la squadra dei “cattivi”. Questa volta l’incontro va in maniera molto diversa: haiku dopo haiku i 5 ragazzi trovano fiducia nelle loro parole e in loro stessi.
Per comprendere questo film e i suoi pregi occorre inquadrarlo in tre coordinate fondamentali della società e della cultura giapponese. La prima è la centralità dell’adolescenza e della sua dimensione mitica nell’immaginario corrente giapponese. Per riprendere una descrizione azzeccata di Mark Schilling, “Il seishun eiga (youth movie) è un importante e duraturo genere del cinema giapponese che non ha un corrispondente esatto in occidente. La differenza non sta tanto nel tema in quanto tale – film sui giovani ci sono anche a Hollywood – ma piuttosto nella quantità e nell’approccio. L’industria giapponese dello spettacolo produce ogni anno dozzine di questi film e tutti, anche quelli che non sono esplicitamente nostalgici, tratteggiano gli anni del liceo come un periodo speciale della vita che non si ripeterà o verrà mai più eguagliato. Da un certo punto di vista, i personaggi hanno quella sorta di purezza e libertà che spesso scompare nell’età adulta, con i suoi compromessi e le sue restrizioni.  “Ho raggiunto il meglio negli anni del liceo” sarebbe un’ammissione di sconfitta per un americano ma in un seishun eiga è spesso un’assunzione di base, dove “il meglio” è definito più dal punto di vista emotivo che in termini di mete o status, come per esempio il primo amore o la vittoria nel grande incontro.”
La seconda è quella forma unica al mondo di espressione poetica che si chiama haiku e che consiste nell’esprimere un pensiero poetico in tre frasi rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe (“go-shichi-go” in giapponese), caratterizzate quasi sempre da un richiamo alle stagioni e da una cesura poetica.
La terza è la tendenza tipicamente giapponese (ma anche americana, ahimé) a trasformare qualunque cosa in prova, competizione, gara, al punto che anche la creazione poetica diventa torneo.
Di film basati sull’incrocio fra il primo e il terzo elemento, e cioè seishun eiga e competizione, è piena la storia del cinema giapponese. Basti citare tra i tanti Sumo Do, Sumo Don’t, (Shiko funjatta, 1992), Give It All (Ganbatte ikimasshioi, 1998) o Swing Girls (id., 2004). L’aggiunta della poesia a questo mix è invece inedita e per certi aspetti inusuale. Nel contesto creato dall’intersezione di queste tre coordinate, seppur nella loro diversità di peso e profondità, il film della Ogigami trova una sua toccante originalità nel proporci una squadra di “poeti per caso” che dopo varie disavventure, poetiche ed esistenziali, raggiungono una faticosa vittoria proprio nei confronti del team più accreditato grazie al fatto che nelle loro poesie, imperfette, c’è la vita. I componenti della squadra, infatti, vi portano tutti i loro problemi esistenziali e d’amore, fino al limite del tentativo di suicidio. E alla fine riescono, vincono, perché la poesia – (il cinema?) sembra dirci la Ogigami – è proprio quello, è la sofferenza della vita e la fatica/soddisfazione pura di declamarla. Sembra essere questo il senso del film, riassunto emblematicamente nell’ultimo, bellissimo haiku, quello della vittoria: “Vento del sud, io volo a modo mio” (Minami kaze / watashi wa watashi / rashiku tobu).
E’ la vita stessa che, con tutto ciò che di effimero essa porta con sé, sembra stare nel breve battito di un haiku. “L’haiku è pop” è una frase che ricorre nel film e quando tutto sembra ormai finito, a ridosso dei titoli di coda, la Ogigami, con uno struggente tocco che evoca Truffaut o ancor più Rohmer, ci mostra la protagonista che mentre percorre in bicicletta il lungomare, promette e al contempo nega amore al suo innamorato e se ne va, recitando fra sé l’haiku che dà il titolo al film: “Kakenukeru / seishun koi wa / go shichi go” (Correre via, l’amore di gioventù è cinque, sette, cinque sillabe).
Seppur in misura ancora limitata, si intravvede qua e là lo stile fatto di atmosfere favolistiche e personaggi bizzarri che sarà poi sviluppato nei film successivi. Scene sospese tra il lirico e il grottesco (come il trio di canto delle tre ragazze nel cortile della scuola o la ricerca di ispirazione per scrivere gli haiku nella gita, con i girasoli, o in mezzo al mare), si riconoscono già come tipiche del cinema della Ogigami.
Come spesso avviene nei film della regista, anche qua la riuscita deve molto alle protagoniste femminili, a cominciare da Seki Megumi, il cui corrucciato fascino virginale (quando è stato girato il film aveva 19 anni) rimane impresso nella memoria; per continuare con Takaoka Saki, che seppure reciti in una parte di secondo piano (la collega di cui è innamorato segretamente il professor Masuo) è nota per gli straordinari nudi fotografici firmati dal grande Shinoyama Kishin, e per finire, last but not least, con Motai Masako, vera e propria figura emblematica dell’opera cinematografica della Ogigami. [Franco Picollo]
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