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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Hokaibito – Ina no seigetsu (ほかいびと~伊那の井月~)

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Hokaibito – Ina no seigetsu (ほかいびと~伊那の井月~). Regia: Kitamura Minao. Fotografia: Takahashi Shinji, Kanazawa Yūji, Akashi Tarō, Kitamura Minao. Musica: Ichiyanagi Toshi. Interpreti e personaggi: Tanaka Min (Inoue Seigetsu), Kiki Kirin (narrazione fuori campo). Anno: 2011
Punteggio ★★★1/2   


Inoue Seigetsu è stato un poeta-viandante (1822-1887) autore di haiku. Il documentario ne ricostruisce e segue i passi durante l’ultima parte della sua vita in cui si mosse principalmente nella zona di Ina, nell’odierna prefettura di Nagano. 

Realizzato dal regista-etnologo Kitamura Minao questo lavoro è una delle pellicole più affascinanti viste nei teatri giapponesi in questo 2012, almeno per chi scrive. Innanzitutto il tema scelto, la figura del poeta e viandante Inoue Seigetsu, vissuto a cavallo fra due epoche, il periodo Edo e quello Meiji, che ha vissuto e testimoniato in prima persona il tumulto delle mutazioni storiche e sociali del tempo. In secondo luogo, ma è proprio qui che risiede la différance e l’attrattiva principale del film, l’incrocio dei vari stili documentaristici utilizzati, quello scientifico, etnologico, televisivo o ancora sperimentale, in un blending che in Giappone trova la sua punta di diamante in The Sundial Carved with a Thousand Years of Notches: The Magino Village Story (1986) della Ogawa Production. 

L’inizio è in questo senso esplicito, è già una dichiarazione d’intenti, in una delle prime scene infatti vediamo l’immenso danzatore butoh Tanaka Min, che qui interpreta Inoue, recarsi alla tomba vera e propria del poeta. Siamo già disorientati, un attimo prima nelle primissime immagini del lavoro abbiamo visto Tanaka camminare nelle vesti bianche del poeta e subito dopo non più il personaggio, ma è l’attore stesso a pagare visita alla lapide. Questa mescolanza, priva di qualsivoglia spiegazione, si protrarrà per tutto il film con il danzatore che si recherà prima nei luoghi nevralgici della vita del poeta per poi ricostruire in immagini le parti salienti della vita del viandante. Ma non è finita qui, c’è un ulteriore sovrapposizione, di stampo quasi surrealista, quando nel bel mezzo del racconto di un episodio, ricreato e recitato agli argini di un campo di riso e che temporalmente si svolge quindi nel diciannovesimo secolo, la macchina da presa effettuando uno zoom out ci rivela una mietitrebbiatrice che passa fra il nostro punto di vista e Inoue seduto ai margini del campo di riso. Un effetto straniante che disarticola il racconto, il senso del tempo e dello spazio, creando però quasi una compresenza di epoche ed immagini mentali che il regista si guarda bene dal risolvere, lasciando allo spettatore il compito di sciogliere o meno questo nodo. L’andamento cronologico che fa da struttura narrativa, con tutte le riserve di cui abbiano detto, è punteggiato dagli haiku recitati da Tanaka che sono anche scritti in sovraimpressionr alle immagini. La prima parte del lavoro ci presenta il girovagare libero di Inoue, vero viandante a cui viene riconosciuto il ruolo di poeta e saggio e che viene quindi ospitato da varie comunità e famiglie. Con l’avvento della Restaurazione Meiji, uno spostamento di episteme ed uno slittamento di prospettive che naturalmente è già ben presente alla fine del precedente periodo, viene sancita la fine dello shōgunato con il conseguente passaggio, realizzato in tempi brevi rispetto alle altre nazioni, dalla società feudale allo stato moderno. Gli enormi cambiamenti, improntati sul modello occidentale, avvengono in tutti i campi, da quello sociale a quello statale e giuridico, fino a modificare il sistema educativo e a dare al Giappone la sua prima costituzione. In questo turbine storico si muove l’ultima parte della vita di Inoue, in una campagna impoverita ed imbruttita dall’eccessivo quantitativo di tasse e dove la vita dunque diventa un inferno. Qui incontriamo un’altra delle parti più intense del documentario, in un tempio visitato da Tanaka sulle orme del poeta, c’è una pittura in cui un demone tormenta i contadini. È questa probabilmente l’allegoria del nuovo stato moderno giapponese, impegnato nel rinnovamento ma con un occhio di riguardo per le città, simbolo di modernità, ed un disinteresse verso le campagne. La scena stacca all’interpretazione demoniaca e danzante che Tanaka/Inoue mascherato da orco dà della pittura e della tragedia degli abitanti della campagna. 

Come il folle di foucaultiana memoria, Inoue viene respinto da coloro che prima lo ospitavano, la posizione del poeta viandante muta e viene ora considerata come quella di un nullafacente che non paga le tasse. Le sacche di spazio libero che prima davano la possibilità al poeta di continuare la sua vita come saggio-vagabondo scompaiono, o forse cambiano di forma, resta il fatto che non c’è più spazio per una figura come quella del viandante in una società che tende ad irrigimentare tutto, in questo senso uno stato moderno in piena fioritura. Inoue cacciato da tutti, sberleffato anche dai bambini, si isolerà sempre di più, quasi scomparendo fin nel giorno della sua morte. Una fortuna è che Kitamura abbia riportato alla luce con questo Hokaibito una figura tanto sconosciuta quanto simbolicamente importante. [Matteo Boscarol]


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