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Aoyama Shinji’s Sad Vacation (サッド ヴァケイション)

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Sad Vacation (サッド ヴァケイション, Sad Vacation). Regia, soggetto e sceneggiatura: Aoyama Shinji. Fotografia: Tamura Masaki. Montaggio: Oshige Yuji. Musica: Nagasima Hiroyuki. Interpreti e personaggi: Asano Tadanobu (Shiraishi Kenji), Ishida Eri (Mamiya Chiyoko), Itaya Yuka (Shiina Saeko), Kawazu Yūsuke (Kijima), Kōra Kengo (Mamiya Yusuke), Nitsuishi Ken (Shigeo), Miyazaki Aoi (Tamura Kozue), Nakamura Katsuo (Mamiya Shigeki), Odagiri Jō (Goto), Saitō Yōichirō (Akihiko), Shimada Kyǖsaku (Sone), Toyohara Kosuke (Kawashima), Toyota Maho (Makimura), Tsuji Kaori (Yuri Matsumura). Prodotto da Kai Naoki per Mamiya Unso Kumiai, Style Jam. Direzione artistica: Shimizu Tsuyoshi. Durata: 136′. Uscita nelle sale giapponesi: 8 settembre 2007.

Sad Vacation non è solo il potenziale sviluppo di una storia preesistente raccontata da Aoyama in Helpless (1996), ma è anche un film autonomo di cui il precedente, in un gioco di intrecci e scambi intertestuali, potrebbe fungere da lungo flashback, con le dovute variazioni. I rapporti tra i due film sono stretti a partire dai continui riferimenti al passato del protagonista Kenji, abbandonato dalla madre, e figlio di un padre alcolizzato suicidatosi dopo l’allontanamento della moglie. La vicenda inizia dieci anni dopo quegli eventi e dopo la morte dell’amico d’infanzia, lo yakuza Matsumura Yasuo. Abbandona i toni gangsteristici del precedente per concentrarsi nel microcosmo di una famiglia allargata, rappresentata dalla ditta di trasporti di Mamiya che accoglie come dipendenti degli sbandati con debiti alle spalle e di cui neanche si fida. La situazione è pretesto per un’analisi stratificata, fredda e al contempo intimista, dei legami interpersonali, tanto altruistici e solidali, quanto egoistici, morbosi e violenti.

È ancora il tema della famiglia, o meglio, la sua assenza, che torna a presentarsi, come in Desert Moon (2001), ma qui coinvolge tutti i personaggi in gioco e una più ampia concezione della società. La famiglia mancata infatti non è solo quella di Kenji che incontrerà Mamiya e quindi la moglie, cioè la madre che l’ha abbandonato. Ma anche le persone di cui si circonda sono orfani come Achun, il bambino cinese a cui è morto il padre in uno di quei viaggi clandestini il cui carico umano è destinato alla vendita, oppure Yuri, la sorella di Yasuo, mentalmente disabile, la quale si rivelerà essere una sua stessa sorellastra nata da una relazione del padre. Anche Kozue, la ragazza in cerca di lavoro che si stabilirà nella ditta di trasporti e assumerà il ruolo di confidente e doppio, vive la medesima condizione di figlia tradita e abbandonata.
Come capita spesso nei film di Aoyama, le parole messe in bocca ai suoi personaggi guidano verso strade interpretative e fungono da mise en abyme del racconto: è il dottore, che in seguito al rapimento di Achun e di Nakanishi, osserva come nella vita non esistano le coincidenze: «…incontriamo chi dobbiamo incontrare… ». Ed è proprio l’accumularsi degli incontri “non casuali”, che muove l’azione e complica il dramma. Fra tutti, quello fra Kenji e sua madre innesca nel primo un sentimento di vendetta, come fa notare Kozue, la quale osserva come, pur non avendo bisogno dei genitori, ci si debba vendicare contro di loro.
Sono i dialoghi a mettere in luce le contraddizioni e i profondi ragionamenti del protagonista, ma anche i suoi silenzi, il diffuso senso di solitudine. Flashback come istantanee rimandano costantemente ad un monologo tutto interiore che è dialogo col proprio passato, come lo stesso incubo notturno sotto la pioggia, dove scorge la figura di Yasuo. Ma a connotare lo sfaccettato personaggio sono anche le stranianti impassibili reazioni di fronte al fatto drammatico, quello del rapimento citato, ad esempio, o quello dall’incredulo omicidio del fratellastro Yusuke.
L’umanità di cui è intriso il protagonista sin dagli esordi, si dissolve gradualmente con l’acuirsi del suo spirito di rivalsa. Il pessimismo non gli lascia speranza in cella, di fronte all’avido perdono della madre negata, pronta ad aspettarlo con il nipote in arrivo (l’ironia tragica sostiene qui una concezione di famiglia ancora lontana dai veri affetti, quasi innaturale). La società rappresentata è al massimo quella del crimine e dell’illegalità che sono al limite di quel cancello della ditta di trasporti, dal quale si affaccia, ogni tanto, qualche gangster, impaziente creditore di un dipendente.
Una tale cupa visione sottende attimi di più ampio respiro, leggeri frangenti che, come digressioni, edulcorano il tono dominante: le bolle di sapone invadono lo schermo e fungono da ingrediente ludico che stravolgerà, in chiusura, le premesse della pellicola. Ma anche il commento sonoro connota con l’ironia di una musica incalzante il drammatico sviluppo della vicenda. Il montaggio ricerca accelerazioni visive attraverso l’uso del cut-jam, nega i raccordi classici, anche e soprattutto nel dialogo d’incontro fra Kenji e sua madre. Momento di centrale importanza nella dinamica del racconto e come esempio di stile, concentra elementi figurativi e sintattici che assumono la loro funzione simbolica e premonitrice in relazione all’ambiguità della loro dislocazione spaziale e dei loro ruoli: la figura sicura e minacciosa della madre, lo sguardo perduto e fuoricampo dell’uomo, il disorientamento che nasce dall’alternanza delle due figure. [Davide Morello]
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