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Rip Van Winkle no hanayome (リップヴァンウィンクルの花嫁, The Bride of Rip Van Winkle)

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Rip Van Winkle no hanayome (リップヴァンウィンクルの花嫁, The Bride of Rip Van Winkle). Regia, soggetto e sceneggiatura: Iwai Shunji; fotografia: Kanbe Chigi; musica: Kuwabara Mako; interpreti: Kuroki Haru, Cocco, Ayano Gō, Hara Hideko, Jibiki Go, Natsume Nana, Wada Sōkō; produttori: Sugita Shigemichi, Iwai Shunji, Kii Muneyuki, Miyagawa Tomoyuki, Mizuno Masashi; durata: 180′. Uscita nelle sale giapponesi: 26 marzo 2016.
Link: Elisabeth Kerr (Hollywood Reporter)
Punteggio: 3/5

Nanami (Kuroki Haru) incontra un uomo tramite la rete e presto si sposa con lui. Non ha parenti e per non sfigurare affitta delle comparse presso un agenzia “risolvitutto” gestita da Amuro (Go Ayano). Poco tempo dopo, Nanami pensa che il marito abbia una relazione clandestina e si rivolge nuovamente all’agenzia di Amuro affinché svolga delle indagini sul marito. La situazione si complica – cerco di non svelare troppo la trama – e Nanami è costretta a cercarsi una casa e un lavoro. Sarà l’onnipresente Amuro a proporle di vivere in una casa apparentemente abbandonata insieme a una delle comparse che aveva partecipato al suo matrimonio come finta parente. Fra le due donne, entrambe segnate dalle durezze della vita nonostante la giovane età, si sviluppa una grande empatia affettiva che sconfina nell’amore. Ma la realtà è molto diversa dalle apparenze.
Iwai Shunji, dopo i successi degli anni novanta, come Love letter e Swallowtail, e ancora All about Lily Chou-Chou del 2001, si è preso una lunga parentesi dalla regia, interrotta solo da un documentario su Fukushima e dal film in inglese Vampire del 2011. Ora torna a un film di fiction in piena regola con una storia fantastica da lui stesso scritta e sceneggiata.

L’esito è ambivalente e in certi casi lievemente deja vu, anche se difficile da descrivere in dettaglio per non rivelare una trama che si regge sulle continue scoperte di nuovi significati della vicenda narrata. Da un lato, tematiche come la dissoluzione della separazione tra vita e lavoro o il potere di utilizzare strumentalmente le persone tramite la rete sono intriganti. Dall’altro, la riproposizione a decenni di distanza, pur con i dovuti aggiornamenti, del suo stile neoromantico, con tanto di musica classica struggente, lirismi e uso del ralenti nei momenti topici, lascia un po’ il tempo che trova. In ultima istanza, ciò che forse colpisce più è il senso di solitudine profonda che il film trasmette, un senso di solitudine, questo sì, aggiornato ai tempi della enorme facilità di connessione con gli altri offerto dalla rete. Connessione e comunicazione sono due cose sempre più diverse.
Nonostante il fatto che in molte scene la confezione sia un po’ fine a se stessa (e le tre ore della versione “director’s cut” risultano francamente un po’ tante), resta il fatto che Iwai sa girare e il film nel suo complesso si vede. Speriamo sia l’inizio di un nuovo ciclo destinato a migliorare.
Grande prestazione di Kuroki Haru che, pur mantenendo il suo tipico profilo dimesso e timido fino al punto da non riuscire a far sentire la sua voce (i suoi allievi a scuola le regalano provocatoriamente un microfono), dispiega le sue capacità da protagonista, confermandosi come una delle grandi attrici giovani del cinema giapponese contemporaneo. [Franco Picollo]

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