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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

IMAGINARY LINE (Imajinarii rain, SAKAMOTO Kenshō, 2024)

Osaka Asian Film Festival 2025 Expo edition

Di Paolo Torino

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Imaginary Line è l’opera prima di Sakamoto Kenshō, e come (quasi) tutte le opere prime porta in dote idee e difetti; vezzi e virtù. A un’idea di cinema manieristica, un po’ figlia di Laurence Anyways (Xavier Dolan, 2012), si contrappone la necessità di raccontare una storia, politica, di emarginati. Imaginary Line sembra una protesta silenziosa, rispettosa, quasi zen. Sakamoto pone il suo sguardo, la sua macchina da presa sulla storia di Yume e Fumiko senza avere la presunzione di fare moralismi: è il film stesso che parla allo spettatore.

Fumiko è una regista che non è ancora riuscita a seppellire le ceneri di sua madre. Su suggerimento della sua amica Yume, deciderà di spargere le ceneri nell’oceano. Si recano nella città natale della madre, Kamakura, ma Yume viene arrestata e portata in un centro di detenzione per immigrati. Yume è figlia di una madre rifugiata in Giappone ed è cresciuta nel Paese, ma non ha lo status di residente. Fumiko lotta per ottenere il rilascio di Yume dal centro di detenzione. Poi quest’ultima scopre di essere incinta, aumentando le possibilità un suo rilascio. Ma in seguito a un aborto spontaneo la sua speranza svanisce (sinossi tradotta dalla scheda fornita da Osaka Asian Film Fest).

Kenshō decide di girare in 4:3, e lo fa non solo perché probabilmente il cinema indie contemporaneo è un po’ debitore dell’estetica di Xavier Dolan e dei suoi giochi di formato, ma per accentuare la sensazione di ingabbiamento e oppressione dei personaggi. Repressi dai confini cinematografici prima ancora che dai tentacoli governativi. Ma i cambi di formati aggiungono anche carattere ai personaggi: è attraverso la loro piccola cinepresa, attraverso il cinema stesso, che le protagoniste si filmano a vicenda cristallizzandosi in fantasmi digitali per sempre. E per certi versi quella stessa natura fantasmatica viene certificata dalla dissolvenza finale di un certo personaggio.

Dal punto di vista attoriale, invece, va menzionato un aspetto interessante: nessuno dei protagonisti ha mai avuto esperienze recitative precedenti e nonostante siano tutti al film d’esordio riescono a convincere e portare sullo schermo una performance decisa e allo stesso tempo pacata. Yume e Fumiko non recitano mai sopra le linee, invalidando l’intero mood dell’opera, ma attraverso un gioco continuo di sguardi, ammiccamenti e a un eloquio calmo, pacato, talvolta fin troppo flemmatico, restituiscono la sensazione di vedere dei personaggi costantemente sul punto di spegnersi, come dei tizzoni che non smettono mai di bruciare a fuoco lento.

In contrapposizione al fuoco c’è il mare. Mare come minimo comune denominatore del cinema giapponese: da Mizoguchi a Ozu, da Kitano e Kurosawa Kiyoshi. È sul mare che si risolvono le controversie emotive: come i due anziani che lo contemplano in Viaggio a Tokyo (Tōkyō monogatari, 1953)come il detective in Cure (Kyua, 1997), come nel finale di Hana-bi (id. 1997). Sequenze che hanno squarciato l’immaginario del cinema nipponico e hanno fatto sì che l’elemento marittimo diventasse in maniera stabile una componente quasi fondamentale del cinema drammatico giapponese. La linea immaginaria, infatti, potrebbe proprio essere l’orizzonte del mare, un orizzonte immaginato al cui cospetto Fumiko riesce a far pace con i suoi fantasmi.


Titolo originale: イマジナリーライン (Imajinarii rain .); regia e sceneggiatura: Sakamoto Kenshō; personaggi e interpreti: Nakashima Yūka (Fumiko), Leiya (Yume) Tanno Musashi (Funahashi),  produzione: TUA; distribuzione: Lamp; prima uscita in Giappone: premiere all’Osaka Asian Film Festival 2025; durata: 90’.

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