LOVE ON TRIAL (Ren’ai saiban, FUKADA Kōji, 2025)
Busan International Film Festival 2025
di Claudia Bertolé

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Fukada Kōji, autore di film memorabili come Hospitalité (Kantai, 2010), Harmonium (Fuchi ni tatsu, 2016) o A Girl Missing (Yokogao, 2019), prende spunto da una storia vera per raccontare la battaglia di una giovane donna rinchiusa in quel mondo molto giapponese che già era stato il teatro del film d’esordio di Kon Satoshi Perfect Blue: le ragazze idol, costantemente in bilico tra un’apparenza luccicante e sorridente e una realtà di costrizioni e desideri pressanti e malati.
Mai è una J-pop idol, fa parte del gruppo Happy Fanfare, e insieme alle sue compagne conduce una vita ritirata, controllata dagli agenti, nella quale la priorità è la dedizione ai fan e al successo. Mai però a un certo punto incontra un ragazzo e se ne innamora. Nel contratto che la tiene legata al gruppo non è previsto che possa succedere e così la ragazza si ritrova trascinata in tribunale dall’agenzia per aver infranto una fondamentale clausola contrattuale.
Il gruppo di idol che balla e canta, ragazze sorridenti, ammiccanti, isolate nella luce che inonda il palco, mentre sotto di loro, nel buio della sala, i fan senza volto ondeggiano come una massa informe e scura dalla quale emergono mani che brandiscono oggetti luminescenti dalla chiara forma fallica: una relazione morbosa in poche immagini, che aprono Love on Trial.
Il film di Fukada, meno convincente dei suoi precedenti, non rinuncia a chiare metafore di un onnipresente sistema patriarcale: subito dopo infatti viene proposta la visita allo zoo durante la quale è evidente il confronto tra gli animali in gabbia e le giovanissime imprigionate in una vita dominata da contratti capestro presidiati da diabolici agenti, invasivi social, e soprattutto dalla necessità di soddisfare il desiderio destinato a rimanere inappagato di orde di fan.
«Questo non è un gioco» ripete l’agente che sprona incessantemente le ragazze in nome di un successo e di un profitto ai quali sacrificare ogni cosa.
Un fenomeno del quale già nel 1997 Kon Satoshi descriveva il lato violento e disumano, che Love on Trial ribadisce adattando la vicenda ai tempi e con frequenti rimandi/omaggi al capolavoro di Kon (come il fan in felpa e cappuccio che diventa aggressivo nei confronti delle ragazze).
A un certo punto del film però Mai si distacca da Mima, la protagonista di Perfect Blue, e ‘vola’ via, in un intermezzo fantastico che la vede alzarsi in volo come la donna dipinta ne “La passeggiata” di Chagall, trasportata da un sentimento che annulla la forza di gravità così come i timori e le zavorre umane. La battaglia di una donna per i propri spazi e i propri diritti diventa il fulcro dell’indagine, e la figura di Mai al centro dell’inquadratura, sul banco degli imputati in una asettica aula di tribunale, lo sguardo rivolto verso lo spettatore, ne è la rappresentazione.
Mai appare a tratti incerta – il passato non si può cancellare, ritorna nel presente con i suoi tentacoli – il suo è un percorso faticoso ma determinato, e se nel finale non c’è una salvifica danza liberatoria come in Hospitalitè, Fukada offre un’altrettanto convinta ellisse che ‘inghiotte’ la fine di una storia, o il trasformarsi di un sentimento, e lascia spazio alla luce dell’alba.
Titolo originale: 恋愛裁判 (Ren’ai saiban); sceneggiatura: Fukada Kōji, Mitani Shintarō; regia: Fukada Kōji; fotografia: Shinomiya Hidetoshi; montaggio: Sylvie Lager; interpreti: Karata Erika, Tsuda Kenjirō, Saitō Kyōko, Kura Yuki; produzione: Knokonwood, Tōhō; anteprima: Festival di Cannes 2025; durata: 124’.
English review
Fukada Kōji, author of unforgettable films such as Hospitalité (Kantai, 2010), Harmonium (Fuchi ni tatsu, 2016) and A Girl Missing (Yokogao, 2019), draws inspiration from real life to tell the story of a young woman trapped in that very Japanese world that had already been the setting for Satoshi Kon’s debut film Perfect Blue: idol girls, constantly poised between a sparkling, smiling appearance and a reality of constraints and pressing, unhealthy desires.
Mai is a J-pop idol, part of the group Happy Fanfare, and together with her bandmates she leads a secluded life, controlled by agents, in which her priority is dedication to her fans and success. However, at a certain point, Mai meets a boy and falls in love with him. Her contract with the group contains a ‘no love’ clause, so the girl finds herself dragged to court by the agency for breaking a fundamental stipulation of the contract.
The idol group dances and sings, smiling. Winking girls, under the light that floods the stage, while below them, in the darkness of the hall, faceless fans sway like a shapeless mass, bright, unmistakably phallic objects glow in the dark: a morbid relationship in a few images opens Love on Trial.
Fukada’s film – less convincing than his previous ones – does not give up clear metaphors of a ubiquitous patriarchal system: immediately after the opening scene, we are taken on a visit to the zoo, where the comparison is between the animals in cages and the young girls imprisoned in a life dominated by restrictive contracts overseen by diabolical agents, invasive social media and, above all, the need to satisfy the unfulfilled desires of hordes of fans.
«This is not a game» repeats the agent, who relentlessly pushes the girls in the name of success and profit, to which everything else must be sacrificed.
A phenomenon whose violent and inhuman side was already described by Kon Satoshi in 1997 in Perfect Blue, and which Love on Trial updates for the present day, complete with frequent references/tributes to Kon’s masterpiece (such as the hooded fan who turns aggressive towards the girls).
At a certain point, however, Mai breaks away from Mima, the protagonist of Perfect Blue, and “flies” away in a fantastical interlude that sees her take flight like the woman painted by Chagall, carried away by a feeling that cancels out gravity as well as human fears and burdens. A woman’s battle for her own space and rights becomes the film’s focal point, embodied by the figure of Mai at the centre of the frame, in a sterile courtroom, her gaze turned towards the viewer.
Mai appears uncertain at times—the past cannot be erased, it returns to the present with its tentacles. Hers is a difficult but determined journey, and while there is no liberating dance at the end, as in Hospitalitè, Fukada offers an equally convincing ellipsis that “swallows” the end of a love story, or the transformation of a feeling, and leaves room for the light of dawn.
Original title: 恋愛裁判 (Ren’ai saiban); screenplay: Fukada Kōji, Mitani Shintarō; director: Fukada Kōji; cinematographer: Shinomiya Hidetoshi; editing: Sylvie Lager; cast: Karata Erika, Tsuda Kenjirō, Saitō Kyōko, Kura Yuki; production: Knokonwood, Tōhō; premiere: Cannes Film Festival 2025; running time: 124’.

