classici1-1845135

SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

INIZIO DI PRIMAVERA / EARLY SPRING (Sōshun, OZU Yasujirō, 1956)

SPECIALE OZU YASUJIRŌ

di Jacopo Barbero

inizio-di-primavera-locandina

Una città si risveglia all’alba. Un treno corre sferragliante sulle rotaie. Il suono di una sveglia rompe la quiete di una camera da letto. Una giovane donna indugia qualche attimo con gli occhi chiusi, poi spegne il dispositivo e si alza, dirigendosi immediatamente a sbrigare le prime faccende domestiche. Il marito di lei si attarda a letto. Lei lo sprona a prepararsi. Dopo qualche lamentela, lui si veste ed esce di casa, unendosi a un’infinita processione di impiegati diretti in ufficio. È con questo risveglio quotidiano che si apre Inizio di primavera (1956), quarantottesimo film di Ozu Yasujirō, il più lungo tra quelli sopravvissuti del regista e il penultimo in bianco e nero. 

Sugiyama Shōji lavora come impiegato a Tokyo e vive in un sobborgo della capitale giapponese con la moglie Masako, dalla quale ha avuto un figlio poi morto di malattia. I due conducono una vita umile e intrattengono un rapporto superficiale, fondato sul mero adempimento dei propri ruoli sociali – quello impiegatizio per lui, quello di moglie e casalinga per lei. Un giorno, durante una gita a Enoshima con altri “colletti bianchi”, Sugiyama fa la conoscenza di “Pesce Rosso”, un’avvenente impiegata così soprannominata per via dei suoi occhi grandi e temperamento imprevedibile. I due, in breve tempo, diventano amanti. La relazione è però presto scoperta sia dai colleghi, che ammoniscono aspramente Pesce Rosso per essersi intromessa in un matrimonio, sia da Masako, che se ne va di casa. Quando Sugiyama è trasferito in un distaccamento rurale della sua compagnia, tuttavia, la relazione con Pesce Rosso viene meno e Masako, anche su spinta della madre e di un amico di famiglia, decide di ricongiungersi al marito e di provare a ritrovare la perduta armonia coniugale.

Scritto insieme al fidato Noda Kōgo, Inizio di primavera segue di ben tre anni al precedente lavoro di Ozu, il più celebre Viaggio a Tokyo (Tōkyō monogatari, 1953): un intervallo di tempo particolarmente lungo per il regista in epoca post-bellica. Dal 1947, infatti, Ozu gira sempre almeno un film all’anno (due nel 1959), con l’eccezione, appunto, dell’intervallo 1953-1956. In questi tre anni, infatti, Ozu scrive insieme a Saito Ryosuke la sceneggiatura di The Moon Has Risen (Tsuki wa noborinu, 1955), secondo film dell’amica attrice Tanaka Kinuyo, e aiuta quest’ultima nella regia. Quando la produzione di Inizio di primavera prende il largo, tuttavia, lo scenario cinematografico in Giappone è profondamente cambiato rispetto al 1953. A metà degli anni Cinquanta, infatti, il pubblico giapponese era in crescita e nuovi generi (fantascienza, film erotici, musical rock-and-roll) stavano cominciando a far apparire antiquati e fuori moda i classici drammi domestici (Ofuna-cho) della Shochiku (che tra il 1955 e il 1956 venne per la prima volta superata in profitti dalla più giovane Daiei).¹ Sotto la guida del nuovo presidente Kido Shirō, lo studio tentò allora di “svecchiare” lo stile Ofuna e, più in generale, il genere shoshimin-geki (“film sulla piccola borghesia”) attraverso il ricorso ad attori giovani e attraenti ed elementi drammatici moderni, quali intrighi sessuali più espliciti.² Questo cambio di stile è evidente in Inizio di primavera, film “di giovani” meno focalizzato sulle figure genitoriali e sul conflitto con i figli rispetto alle opere precedenti di Ozu, nonostante questi elementi non scompaiano del tutto. 

Ozu con questo film ambisce a raccontare “il pathos della vita dei colletti bianchi”,³ la mesta esistenza di quei trecentoquarantamila impiegati che ogni giorno, a metà degli anni Cinquanta, giungevano a Tokyo dai sobborghi per fare la loro parte nel miracolo economico giapponese post-bellico. “La gioia di laurearsi e di entrare nel mondo adulto, le speranze del momento in cui si viene assunti, il loro progressivo sfaldarsi, la percezione che dopo trent’anni di lavoro non si è arrivati pressoché a niente. Ho ritratto la vita degli impiegati attraverso le differenze generazionali e ho cercato di far emergere le loro amarezze”, scrive Ozu.⁴ In effetti, proprio la vita impiegatizia, nella sua monotona ripetitività e ordinarietà, appare come il maggiore interesse del regista, già chiaro nella bella sequenza iniziale del risveglio dei protagonisti, raccontato con dettaglio quasi entomologico. Rispetto ai film più “narrativi” del regista, infatti, Inizio di primavera spesso indugia – così si spiega anche la notevole durata – sui rituali della vita lavorativa di Sugiyama e dei suoi colleghi, con l’ambizione di voler descrivere la condizione esistenziale dei colletti bianchi. Si pensi alla prima sequenza mattutina nell’ufficio di Sugiyama e alla monotona salmodia di “Ohayō” (“buongiorno”) che scandisce l’ingresso degli impiegati in ufficio; ma anche alle molte deviazioni dalla narrazione drammatica principale, quali i numerosi ritrovi post-lavoro dei colleghi del protagonista, i loro canti, le loro conversazioni e lamentele per una vita che appare come una prigione con pochi sollievi. Quando il giovane impiegato Miura muore di malattia, un collega arriva a dire: “Forse è stato fortunato, non saprà mai com’è la vita di uno stipendiato”. Un’esistenza in cui, come afferma un altro collega, “i bambini arrivano prima degli aumenti” – chiaro riferimento alla vicenda dell’impiegato Aoki, estremamente amareggiato rispetto alla gravidanza della propria moglie in una condizione di ristrettezza economica. Si ha quasi il dubbio se queste deviazioni punteggino la vicenda dei protagonisti o, viceversa, se la trama stessa del film non sia che un’occasione per questa descrizione corale del milieu impiegatizio, che Ozu porta avanti con il suo sguardo filmico colmo di umana compassione.Ho […] evitato per quanto possibile le scene drammatiche e ho voluto accumulare scene ordinarie per far sì che dopo aver[e] visto [il film, NdR] gli spettatori arrivassero a percepire la tristezza di quel tipo di vita”, scrive ancora il regista.⁵

L’a-drammaticità di molte scene quotidiane, tuttavia, è contrappuntata da alcuni momenti tra i più drammatici e sensuali del cinema di Ozu, frutto anche – come si è scritto – delle nuove politiche produttive della Shochiku. Inizio di primavera, infatti, è fortemente imperniato sul conflitto tra un’ordinarietà composta e una straordinarietà drammatica, vitale e caotica. Queste due dimensioni sono incarnate dalle due figure femminili principali, Masako e Pesce Rosso. Quest’ultima è una donna attraente e vitale, pronta a tutto pur di sedurre Sugiyama, di cui si è profondamente invaghita. Si pensi solo alle due sequenze che segnano una svolta nel loro rapporto: quella del bacio e quella dello schiaffo. Nella prima, Sugiyama e Pesce Rosso si trovano nella saletta privata di un ristorante e costei indossa un elegante vestito all’occidentale. Lei gli serve da bere e lo provoca rispetto al suo rapporto con la moglie, chiedendogli se abbia intenzione di dirle qualcosa del loro appuntamento. Sul tavolo, troneggia una bottiglia di birra, che la donna maliziosamente prende per il collo e sposta per avvicinarsi a Sugiyama e baciarlo (Figura 1). È interessante notare come la bottiglia sia un elemento presente anche nella casa dei Sugiyama. Ozu, in particolare, la enfatizza in relazione alla figura di Masako e al suo ruolo di moglie fedele e retta, pronta a svolgere la propria parte nell’economia domestica di stampo patriarcale (Figura 2). Il fatto che Pesce Rosso sposti la bottiglia che si frappone tra lei e Sugiyama nella sequenza del bacio, dunque, appare come un’allusione al superamento della figura di Masako e dei vincoli matrimoniali da parte della donna. L’utilizzo degli oggetti come correlativi oggettivi delle vicende umane, poi, è un carattere tipico del cinema di Ozu. Si pensi proprio al momento immediatamente successivo del bacio (Figura 3), in cui il regista cela l’intimità del contatto fisico tra i due amanti dietro un allusivo stacco di montaggio su un ventilatore elettrico presente nella stanza (Figura 4), il cui movimento ondulatorio sembra riprodurre gli amoreggiamenti di Pesce Rosso e Sugiyama. Questa sequenza dalla sensualità soffusa è un piccolo capolavoro di erotismo velato, che mostra bene la vitalità giovanile e maliziosa di Pesce Rosso, contrapposta alla passività di Sugiyama. Una simile dinamica è replicata anche dalla sequenza in cui Pesce Rosso scopre che l’uomo sta per lasciare Tokyo senza avvertirla: a quel punto, la reazione della donna è furiosa e scomposta e il volto di Sugiyama è colpito da uno schiaffo (Figura 5), azione violenta piuttosto rara nel cinema di Ozu, che sottolinea ancora una volta la natura fortemente drammatica del personaggio di Pesce Rosso. 

figure-1-5

A contrapporsi a quest’ultima è il personaggio di Masako che, come già accennato, incarna la rettitudine e l’abnegazione della sposa. Il suo personaggio ha una compostezza e una freddezza che fungono da contraltare rispetto alla caotica vitalità e sensualità di Pesce Rosso. Pur nella sua frustrazione – dovuta alle ristrettezze economiche e alla trascuratezza che il marito le riserva – la donna non si scompone mai, né di fronte al marito (nemmeno quando egli irrompe in casa con due amici ubriachi in piena notte) né di fronte a Pesce Rosso, con la quale si comporta con gentilezza. Masako confida le proprie lamentele solo a un’amica vedova, alla quale arriva a dire di invidiare la sua condizione di libertà, e alla madre, la quale però giustifica Sugiyama e la sprona a essere paziente: “Dopo tutto, questo è un mondo per uomini”, commenta l’anziana donna. Masako reagisce compostamente persino quando il tradimento del marito diviene manifesto: semplicemente, abbandona la casa, lasciando al marito un biglietto. Laddove la reazione di Pesce Rosso rispetto alla scorrettezza di Sugiyama è di furore, Masako reprime ancora una volta i propri sentimenti e preferisce svanire, per poi ricongiungersi al marito nel finale, dopo il provvidenziale intervento dell’amico Onodera, non a caso interpretato da Ryū Chishū, attore feticcio di Ozu e autentico protettore del focolare domestico. 

Se la compostezza di Masako e la vitalità di Pesce Rosso appaiono come due modelli opposti di femminilità, in mezzo a loro si pone Sugiyama. Mesto e passivo, l’uomo è l’incarnazione di una suprema mediocrità esistenziale, la cui monotonia è temporaneamente spezzata da una relazione extraconiugale in cui egli prende ben poca iniziativa. Prosciugato dal lavoro e completamente appiattito sull’aderenza a strutture sociali in cui le donne non sono che complementi servili alla sua esistenza, Sugiyama si aggira per il film con sguardo vacuo, subendo l’avvilente routine da “colletto bianco” e riversando la propria frustrazione sulle due donne che lo circondano, mancando di rispetto prima all’una e poi all’altra in eguale maniera. Molto interessante è notare come Ozu, ancora una volta, tratteggi il rapporto tra Sugiyama e le donne attraverso la messinscena degli oggetti. In Inizio di primavera, in particolare, i vestiti dei protagonisti, sono al centro di una sorta di linea narrativa parallela. Verso l’inizio del film, Ozu inquadra i vestiti di Sugiyama ordinatamente appesi in casa (Figura 6) e poco dopo mostra come a prendersene cura sia la moglie Masako. Quando arriva a casa dal lavoro, infatti, Sugiyama sveste la sua camicia bianca e i pantaloni – quasi una seconda pelle impiegatizia – e li abbandona per terra: è Masako a raccoglierli, piegarli e appenderli (Figura 7). Di conseguenza, i vestiti da ufficio di Sugiyama diventano il punto di congiunzione tra marito e moglie e i rispettivi ruoli sociali di impiegato e casalinga. Successivamente, quando Sugiyama e Pesce Rosso trascorrono una notte d’amore in un albergo sul mare, Ozu inquadra i vestiti dei due (Figura 8). È legittimo immaginare che sia stata Pesce Rosso a prendersene cura e ciò che vediamo sono i capi dei due amanti appesi fianco a fianco, come a suggerire una vicinanza sentimentale. In seguito, ancora, quando Masako scopre definitivamente il tradimento del marito, usa la camicia di lui per smascherarlo, facendogli notare come essa sia sporca di rossetto (Figura 9). Nei giorni a venire, quando Sugiyama è solo a casa perché la moglie lo ha abbandonato, Ozu inquadra i vestiti dell’uomo appesi in posizione inusuale, vicino alla finestra invece che accanto al muro, come ad alludere ai mutati equilibri domestici e all’assenza della donna, suggerita anche dal disordine che regna sovrano nella stanza (Figura 10).

figure-6-11

Questo appassionante “poema di oggetti”, poi, torna centrale e trova la sua conclusione nella scena finale del film. Sugiyama ha ormai abbandonato Tokyo e si trova nella cittadina di Mitsuishi, dove la sua compagnia lo ha trasferito. Di ritorno dal lavoro, entra in casa e, giunto in camera da letto, nota sulla parete i vestiti della moglie ordinatamente appesi (Figura 11): un’immagine di armonia e compostezza che suggerisce il ritorno di Masako. La moglie, in effetti, fa capolino di lì a poco e i due si riconciliano. Parlano delle difficoltà che dovranno affrontare negli anni a venire, ma appaiono ottimisti rispetto al futuro. Il film si conclude con i due coniugi che, guardando fuori dalla finestra, contemplano il passaggio di un treno. Ma il lieto fine è solo apparente: il loro sguardo pieno di speranza, infatti, contempla lo stesso “treno del destino” che un giorno li ricondurrà a quella stessa Tokyo, luogo di alienazione umana e professionale, da cui sono appena fuggiti. Come dice un collega di Sugiyama, commentando la morte del giovane impiegato Miura: “Noi continuiamo a vivere, ma non siamo felici.”

 

Note:

¹ Bordwell, David, Ozu and the Poetics of Cinema. British Film Institute e Princeton University Press, Londra e Princeton 1988, p. 334. 

² Ibid.

³ Ivi, p. 335.

⁴ Ozu, Yasujirō. Scritti sul cinema, a cura di Franco Picollo e Hiromi Yagi. Donzelli Editore, Roma 2016, p. 122.

Ibid.


Titolo originale: 早春 (Sōshun); regia: Ozu Yasujirō; soggetto e sceneggiatura: Ozu Yasujirō e Noda Kōgo; fotografia: Atsuta Yūharu; montaggio: Hamamura Yoshiyasu; musica: Saitō Kojun; scenografia: Hamada Tatsuo; interpreti: Awashima Chikage (Sugiyama Masako), Ikebe Ryō (Sugiyama Shōji), Kishi Keiko (Kaneko Chiyo / Pesce Rosso), Takahashi Teiji (Aoki Taizō), Urabe Kumeko (Kitagawa Shige, madre di Masako), Ryū Chishū (Onodera Kiichi), Yamamura Sō (Kawai Yutaka), Fujino Takako (Aoki Terumi), Taura Masami (Kitagawa Kōichi, fratello di Masako), Sugimura Haruko (Tamura Tamako), Miyake Kuniko (Kawai Yukiko), Tōno Eijirō (Hattori Tokichi), Mitsui Kōji (Hirayama), Katō Daisuke (Sakamoto), Suga Fujio (Tanabe), Tanaka Haruo (Nomura), Nakakita Chieko (Tominaga Sakae), Yamamoto Kazuko (Honda Hisako), Nagai Tatsuo (Okazaki), Moruzumi Keijirō (Tsuji), Nakamura Nobuo (Arakawa), Nagaoka Teruko (madre Satō), Masuda Junji (Miura Yuzo); produzione: Shochiku; durata: 144’; anno di produzione: 1956; uscita in Giappone: 29 gennaio 1956. 

CONDIVIDI ARTICOLO