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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

CHIME (id., KUROSAWA Kiyoshi, 2024)

SPECIALE BERLINALE 74

15 – 25 febbraio 2024

di Claudia Bertolé

chime

 

Un suono debole si insinua nelle menti e svela la fragilità dell’umano. Da un improvviso e fugace inserto sonoro prende l’avvio la costruzione di un perfetto marchingegno J-horror di cui il maestro Kurosawa Kiyoshi muove le leve e attraverso il quale, in soli quarantacinque minuti, introduce lo spettatore nel suo mondo di inquietudine e di paura.

Matsuoka è un insegnante in una scuola di cucina occidentale. Improvvisamente un suo studente inizia a comportarsi in maniera strana, sostenendo di sentire un rumore particolare, come di un carillon. Un rumore non umano. Un altro poi dichiara di essere posseduto da una macchina, poco prima di pugnalarsi. A indagare sugli avvenimenti arriva il detective Otsuki. Nel frattempo la vita di Matsuoka all’apparenza continua tra la quotidianità familiare, con moglie e figlio, e i colloqui alla ricerca di un nuovo lavoro. Ma anche lui è preda di un disagio profondo.

Chime, presentato nella sezione Special della Berlinale 74, è un mediometraggio realizzato per la visione sulla piattaforma online Roadstead. Un piccolo film che non verrà quindi distribuito nelle sale, ma che ha la stessa architettura perfetta del grande cinema di Kurosawa. Una delle inquadrature in apertura mostra la sala della scuola di cucina, fatta di superfici di acciaio e materiali freddi e lucidi. Nello stesso quadro colpisce però una struttura nera, posizionata proprio al centro, in alto: non è chiaro di cosa si tratti, appare sfocata, forse è l’involucro di un aspiratore. In ogni caso la “macchia” nera occupa una porzione importante della scena, incombe dall’alto sulle persone che si muovono nella zona sottostante.

Da lì in poi, così come negli horror indimenticabili di Kurosawa (come Cure del 1997 o Kairo del 2001) il perturbante si insinua nelle ombre, nelle luci, nei rumori. Attraverso una messinscena che crea zone buie “di dialogo” con il mondo alla luce, e una regia che predilige ellissi e campi senza controcampi, l’orrore cola nell’ordinario e lo fa suo, rendendoci un mondo nel quale, viene da pensare, si cede all’assuefazione del morboso che è lì magari non visto, ma di certo intensamente percepito.

Il protagonista di Chime è un uomo probabilmente annoiato dalla propria attività di insegnante (infatti cerca un’altra occupazione), con una moglie il cui pensiero principale pare essere quello, ossessivo, di liberarsi delle lattine, che spesso scarica rumorosamente nei rifiuti. La “zona buia” della fragilità annoiata di Matsuoka è terreno fertile per il “contagio”. 

Un ruolo determinante hanno nel film i rumori. Dall’impercettibile suono del carillon all’assordante rumore delle lattine che cozzano tra loro, fino alla deflagrazione finale, i suoni segnano un percorso, sottolineano momenti e scandiscono l’insinuarsi, prima, e la presa di potere, in seguito, dell’anomalo, del mostruoso.

Che però, la splendida sequenza finale lo ricorda, è pur sempre contiguo al bello, al puro della vita. Nel passaggio conclusivo lo sguardo del regista si allontana lentamente dalla casa del protagonista, dai rumori alieni, dalla porta chiusa su chissà quali misteri, e lentamente include, proprio nel piccolo giardino davanti a casa, un albero fiorito, vivo e pacifico, che si prende il suo spazio nell’immagine, condividendolo con la porta che separa dall’orrore.


Titolo originale: Chime; sceneggiatura e regia: Kurosawa Kiyoshi; fotografia: Furuya Kōichi; suono: Sorimachi Norihito, Normura Miki; montaggio: Yamazaki Azusa; interpreti: Yoshioka Matsuo (Matsuoka Yakuji), Tabata Tomoko (Matsuoka Haruko), Watanabe Ikkei (Otsuki Makoto); produttori: Kawamura Misaki, Okamoto Hideyuki; prima uscita: 19 febbraio 2024 (Berlinale 74); durata: 45’.

 

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