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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Tsumetai nettaigyo

250px-cold_fish-p1-6202858Tsumetai nettaigyō (冷たい熱帯魚, Cold Fish), Regia: Sono Sion; sceneggiatura: Sono Sion, Takahashi Yoshiki; fotografia: Kimura Shin’ya; scenografia: Matsuzuka Takashi; montaggio: Itō Jun’ichi; musica: Harada Tomohide; interpreti: Fukikoshi Mitsuru, Denden, Kurosawa Asuka, Kagurazaka Megumi, Kajiwara Hikari, Watanabe Tetsu; produzione: Nikkatsu – Sushi Typhoon; 144’. Anno di produzione: 2010 – Il film non è ancora stato distribuito in Giappone

Punteggio ★★★1/2   

Questo film verrà presentato nella rassegna “Rapporto confidenziale” al 29° Torino Film Festival (29 novembre-3 dicembre). In tale occasione “Sonatine” pubblicherà in collaborazione con il Festival il volume “Il Signore del caos. Il cinema di Sono Sion”, contenente un’intervista inedita a Sono, un’ampia introduzione alla sua opera, alcuni saggi critici e le schede di tutti i film proiettati nella rassegna.
Ispirandosi a un fatto di cronaca nera realmente accaduto, riguardante le nefandezze del solito serial killer, Sono Sion continua con Colf Fish, presentato anche all’ultimo Festival di Venezia, la sua critica al vetriolo nei confronti della famiglia giapponese, già intrapresa con Suicide Circle (2002), Noriko’s Dinner Table (2005) e Love Exposure (2009). Un tema questo assai caro al cinema del suo paese, come testimoniano gli altrettanto corrosivi Family Game (1983) di Morita Yoshimitsu,  Crazy Family di Ishii Sogo (1984) e Visitor Q (2001) di Miike Takashi, per non citare che i primi titoli che mi vengono in mente. Se Love Exposure privilegiava l’angosciato punto di vista del figlio costretto a peccare per soddisfare le maniacali esigenze di assoluzione del padre prete, Cold Fish è, invece, costruito a partire dal punto di vista del  genitore. Shamoto Nobuyuki è un uomo mite, che vive, dopo la morte della prima moglie e un successivo matrimonio, un vero e proprio inferno familiare, provocato dal violento astio della figlia (Mitsuko) nei confronti della matrigna (Taeko). La sequenza iniziale del film (la silenziosa cena a tre, l’improvvisa uscita di casa della figlia dopo l’arrivo della telefonata di un suo amico, gli inutili tentativi dell’uomo di amoreggiare con la moglie che teme il rientro di Mitsuko, la sigaretta che questa fuma all’aperto sotto una pioggia torrenziale, perché ancora Mitsuko le ha proibito di fumare in casa) disegna con efficacia e vigore una situazione di fatto assai poco sostenibile. L’improvvisa apparizione di Murata – il serial killer che gestisce un negozio di pesci tropicali ben più grande di quello condotto dal protagonista – e il suo violento ingresso nella vita della famiglia Shamoto, assume almeno tre diversi significati all’interno del film. Innanzitutto è  una metafora esasperata dell’inferno privato vissuto dal protagonista  che si amplificherà così in una grottesca vicenda di omicidi e smembramento di corpi;  poi, come fa notare lo stesso Murata a Shamoto, permette, al più o meno consapevole protagonista, di liberarsi dell’ingombrante figlia, per tentare, anche se vanamente, di recuperare il proprio rapporto di coppia con la seconda moglie; infine, esso dà vita a un percorso di liberazione, che porterà Nobuyuki a riuscire finalmente a prendere in mano le redini del gioco – esemplare il momento in cui colpisce la figlia che lo sorprende fare sesso con Taeko – anche se alla fine, consapevole, come lui stesso afferma, che la vita è solo dolore,  l’uomo finirà per uccidersi proprio sotto gli occhi esterrefatti di Mitsuko.
Impietoso, crudele e gore, Cold Fish è una sorta di Fargo con qualche tocco alla John Waters e al Tobe Hooper di Non aprite quella porta – e volendo anche al Sabu di Monday (2000) – , un film che conferma la vitalità del suo autore, la coerenza del suo universo poetico e l’irriducibilità del suo cinema ai modelli del mainstream. L’impressione – ma è qualcosa di più di un’impressione – è che, con tutte le diversità del caso, il suo cinema stia colmando il vuoto lasciato dall’approdo all’universo dei blockbuster di Miike. [Genji – 15th Pusan Film Festival ottobre 2010].
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3 commenti su “Tsumetai nettaigyo

  1. Non conoscevoSion Sono, è stato il suo primo film che ho visto e devo dire che mi ha convinto a voler recuperare anche i precedenti. Anch’io ci ho visto qualcosa di “Fargo”, anche se naturalmente questo è più torbido, estremo e devastante.

  2. Sì, anch'io lo trovo un autore molto interessante. Qualche volta urtante, qualche altra volta affascinante, ma sempre interessante. I suoi film sono spesso anticonvenzionali ma a me è piaciuto molto anche "Chanto tsutaeru" (Be sure to share), dove lui ha voluto fare apposta un film "tradizionale".

  3. Il film gioca meravigliosamente con i generi cinematografici, partendo da un inizio da dramma familiare, sfociando in momenti da commedia brillante grazie sopratutto all'interpretazione di Denden, fino ad approdare al gore più folle e violento. Il tutto con il disfacimento del "progetto familiare" come punto ben fisso. Il folle serial killer, inoltre, riempie il suo rifugio tra i boschi (luogo in cui disseziona i cadaveri)di crocefissi e statuette religiose cristiane, altro fendente del regista (mi viene in mente AI No Mukidashi) nei confronti della religione cattolica.

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