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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Haru to no tabi (Haru’s Journey)

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Haru to no tabi (春との旅, Travels with Haru aka Haru’s Journey), Regia e sceneggiatura: Kobayashi Masahiro; fotografia: Takama Kenji; scenografia: Yamazaki Teru; montaggio: Kaneko Naoki; musica: Sakuma Junpei; interpeti: Nakadai Tatsuya, Tokunaga Eri, Ōtaki Hideji, Sugai Kin, Tanaka Yūko, Awashima Chikage, Kagawa Teruyuki, Toda Naho; produzione: Monkey Town Production; 134’; 22 maggio 2010. 
Punteggio ★★★1/2   
Pia   Commenti 4/5     All’uscita delle sale 75/100

Ho sempre amato il cinema di Kobayashi Masahiro e non ho mai capito il perché dell’ostracismo critico di cui è ampiamente vittima (il pur imprescindibile Midnight Eye’s Guide to Japanese Cinema di Tom Mes e Jasper Sharp non lo cita nemmeno, come neanche lo fa Alexander Jacoby nel suo altrettanto importante A Critical Handbook of Japanese Film Directors). Dal canto mio ho già avuto modo di sottolineare quelli che ritengo gli aspetti importanti del cinema di Kobayashi in almeno due occasioni (Il cinema dell’Estremo Oriente, scritto con Marco Dalla Gassa, Utet Libreria, Torino 2010, pp. 244-246; e Il vuoto e l’assenza. Il cinema di Kobayashi Masahiro, «Cinergie», n. 19, marzo 2010, pp. 28-9). Forse la ragione per cui Kobayashi è considerato poco contemporaneo, e per via dell’umanismo che contraddistingue il suo cinema, lo stesso ‘umanismo’ che animava grandi vecchi come Kurosawa e Kobayashi Masaki. Haru’s Journey, la storia di un vecchio e della sua giovane nipote che passano da una casa all’altra dei loro familiari in cerca di ospitalità, è chiaramente un omaggio all’Ozu di Viaggio a Tokyo e, ancor più, di Fratelli e sorelle della famiglia Toda. La situazione di fondo è la stessa, così come la caparbietà della giovane Haru a rimanere comunque a fianco del nonno, anche a discapito del proprio futuro, ricorda l’atteggiamento di Setsuko Hara per Ryū Chishū in Tarda primavera (ma anche di molti altri personaggi di molti altri film di Ozu). Sempre Hara Setsuko (ma questa volta nei panni della Noriko di Viaggio a Tokyo), è esplicitamente evocata dal personaggio della cognata del nonno, Nobuko, l’unica che, pur non avendo alcun legame di sangue con questi, lo invita esplicitamente  ad andare a vivere a casa sua. Il film non è fra i migliori di Kobayashi e, pur ricco di diverse efficaci soluzioni stilistiche (il lavoro sulla prossemica in particolare a riguardo dei rapporti spaziali fra i due protagonisti, interessanti effetti di recadrage), manca dell’intensità e dell’originalità viste altrove. A volte il regista, ed è questo forse il difetto peggiore della sua opera complessiva, insiste troppo nel definire certi situazioni e sentimenti (vedi il carattere ridondante della musica) cui forse sarebbe meglio riferirsi con un tono un po’ più allusivo. Qui però il difetto maggiore, ma è una mia opinione, sta nella recitazione eccessiva di Nakadai Tatsuya, un altro dei grandi vecchi del cinema giapponese, della cui storia degli ultimi cinquanta anni è stato sia delizia (Harakiri, L’oro dello shogun), sia croce (L’idiota, ma per me anche La condizione umana). La scena del litigio col fratello, interpretato da un altro grande attore come Emoto Akira, mi sembra davvero un esempio di recitazione sopra le righe ed eccessivo virtuosismo (ma la direzione d’attore non è certamente uno delle migliori qualità di Kobayashi). Interessante il lavoro sul corpo dei due protagonisti, la loro andatura goffa (quella del nonno a causa della sua infermità, quella della ragazza che ricorda assai da vicino le movenze dei protagonisti di Ai no yokan e Wakaranai) e gli abiti indossati:  il cappottone portato dall’uomo e la giacca a vento della ragazza (che quasi mai si toglieranno in tutto il film, e che nella loro natura di abiti poveri ed eccessivamente vistosi, ne indicano l’inadeguatezza e la dimensione ingombrante in spazi – come le case dei fratelli – in cui non si può dire che davvero siano desiderati e dove di fatto sono piuttosto fuori posto). Il film eccelle, infine, nella rappresentazione della quotidianità della vita di nonno e nipote, soprattutto nella lunga serie di pasti frugali e da quattro soldi consumati insieme in modeste tavole calde, che da soli valgono più di un saggio antropologico sulle abitudine alimentari della cucina (povera) giapponese. In sostanza, pur con qualche punto debole, questa storia del rapporto fra un nonno e una nipote che si comportano come  una vecchia coppia che si sopporta a fatica, ma dove l’uno non può comunque fare a meno dell’altro, merita certamente attenzione. [Genji – 15th Pusan Film Festival ottobre 2010]
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4 commenti su “Haru to no tabi (Haru’s Journey)

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