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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

FIT

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FIT  Regia e montaggio: Hirosue Hiromasa; sceneggiatura: Hirosue Hiromasa, Namiki Akie, Ozumi Takahashi; fotografia: Namiki Akie, Takahashi Izumi, Kawai Takeshi; musica: BUJI; suono: Kawai Takeshi, Nakamura Kengo;  interpreti: Jibiki Go, Hirosue Hiromasa, Namiki Akie, Shine Midori, Yui, Arai Hideyuki, Kawai Takeshi, Kaihara Kazunari; produzione: Gunjo-ito; durata: 106’; 2010; HDCam; 16/9; Colore; 23rd Tokyo International Film Festival – 61th Berlin International Film Festival
Punteggio ★★★  
Giovane ma già accreditato cineasta, soprattutto per i film realizzati insieme a Izumi Takahashi (si veda a questo proposito la bella intervista su «Midnight Eye»), Hiromasa Hirosue realizza con FIT un film corale che si concentra sulla solitudine di diversi personaggi. Sagawa è un impiegato che non sa che parlare con se stesso allo specchio o sullo schermo di un computer. Nitta è una donna che vive sola col suo cane ed è ossessionata dagli acquisti on line. Ohki è incinta di un bambino il cui padre è scappato via e vorrebbe abortire. Tahara vive col fratello disturbato mentalmente e non può avere una vita propria. Masaru, il fratello di Tahara, passa le sue giornate guardando il mondo con un paio di occhialini 3D e vorrebbe tenere delle formiche come animali domestici. Endo è costretto su una sedia a rotelle e trascorre il tempo a disegnare. In mezzo a questi, ed altri personaggi, si aggira la minacciosa figura di un uomo mascherato che indossa un poncho impermeabile nero e che sembra essere sempre sul punto di colpire. È la minaccia che grava su gli altri personaggi del film e che si materializza nel tentato suicidio di Sagawa, nella morte del cane di Nitta, nel ricovero in un istituto di Masaru. L’unica che sembra in qualche modo farcela è Ohki che deciderà di tenere per sé il bambino. Condotto in modo piano, attraverso una narrazione scarna, e uno sguardo indugiante della macchina da presa (che talvolta insiste in piani distanziati e in una certa volontà di celare il volto dei personaggi, senza che per questo non ci siano anche numerosi primi piani), FIT non è un film facile da seguire: tanti personaggi, situazioni non sempre chiare, risoluzioni a volte poco motivate, o che almeno tali mi sono sembrate. Confesso che dovrei rivederlo per poterlo meglio capire. A tratti ho avuto l’impressione di un film prolisso e oscuro, ma meritevole comunque di attenzione. Nei suoi 106 minuti piuttosto piani, il film contiene alcuni momenti indubbiamente efficaci dal punto di vista della regia e della messinscena, come certi effetti di montaggio sulla solitudine di Sagawa davanti allo specchio, certe sue immagini in mezzo alla folla anonima,  la commovente separazione fra Masaru e la sorella, in cui questa lo saluta per un ultima volta indossandone gli occhiali 3D, l’intenso finale che ritorna sui vari personaggi e si chiude sulla corsa di Ohki. L’assunto del film sembra però abbastanza chiaro: la solitudine ti uccide e l’unica possibilità di salvezza sta nel rapporto con gli altri. [DT-Genji]
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