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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Sakuradamongai no hen

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Sakuradamongai no hen (桜田門外ノ変). Regia: Satō Junya; soggetto: dal romanzo di Yoshimura Akira; sceneggiatura: Satō Junya, Era Itaru; fotografia: Kawakami Kōichi; interpreti: Osawa Takao, Ibu Masato, Kitaoji Kinya, Emoto Akira, Hasegawa Kyōko, Nishimura Masahiko; durata: 137’; prima 16 ottobre 2010.
Link: Sito ufficialeTrailer (Nippon Cinema) 
PIA: Commenti: 3,5/5   All’uscita delle sale: 65/100 
Punteggio ★★   
Il 3 marzo 1860, a Edo, un gruppo di samurai provenienti soprattutto dal dominio di Mito uccise in un agguato all’uscita della porta Sakurada il primo ministro Ii Naosuke, firmatario degli accordi di apertura con i paesi occidentali e fautore di una politica fortemente repressiva nei confronti degli oppositori. L’attentato, noto appunto come “incidente esterno della porta Sakurada”, segna simbolicamente l’inizio delle cruente trasformazioni interne alla politica e alla società giapponese che portarono alla fine dell’epoca Tokugawa e all’avvento  della restaurazione Meiji.
L’episodio ha dato vita a vari romanzi, drama e film, il più significativo dei quali è forse Samurai (Samurai Assassin) di Okamoto Kihachi (1965). Tratto da un romanzo diverso da quello che ha ispirato il film odierno e girato soprattutto sotto la pioggia e la neve o di notte con un bianco e nero esasperato, quello di Okamoto è un film memorabile che fornisce un quadro cupo e vibrante di quell’epoca di profonde contraddizioni e trasformazioni attraverso la vicenda di un rōnin senza ideali che pur di salire nella scala sociale non esita a uccidere prima il suo unico amico ritenuto colpevole di tradimento (poi risultato innocente) e poi il primo ministro Ii, di cui ignora di essere figlio illegittimo. Mifune, abbandonati i toni spavaldi e gigioneschi di Yōjinbō o Sanjūrō, è un eroe negativo incattivito e dolente che nella sua disperata ricerca di ascesa sociale ha perso il senso della realtà: cerca di diventare samurai quando il mondo dei samurai sta per finire e non riconosce il suo vero padre. Una tragedia greca sotto la neve di Edo.
Il film del mestierante veterano Satō Junya (suo è, tra i tanti, Otokotachi no Yamato del 2005), inizia praticamente dove finiva quello di Okamoto, cioè con la grande scena d’azione che porta all’uccisione di Ii. Il resto è una lunga e verbosa ricostruzione dei fatti antecedenti e degli sviluppi successivi all’attentato, con la sistematica cattura e decapitazione di tutti gli attentatori. L’intento parrebbe essere la validazione storico-didattica, a giudicare dal tono agiografico con cui vengono ritratti i vari protagonisti e dall’ultima scena in cui, nella Tokyo di oggi, viene mostrata la porta di Sakurada uguale nei secoli e poi, con un zoom, il palazzo della Dieta, come a dire che quell’impresa eroica ha contribuito a fondare il Giappone moderno.
Il risultato è però abbastanza piatto. Non solo manca un Mifune (Osawa Takao, scelto forse per il grande successo come protomedico nel drama Jin,  non è neppure confrontabile) ma manca anche un’impronta registica capace di offrire un qualche minimo scavo nelle diverse psicologie dei protagonisti. Come sempre molto apprezzabile Emoto Akira, che riesce a infondere profondità in ogni ruolo che interpreta.
Una curiosità storico-cinematografica: la porta di Sakuradamon è stata ricostruita per l’occasione nella zona di Mito, luogo di origine dei protagonisti della vicenda storica. [Franco Picollo]
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