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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Aozora dorobō (Sky’s Thieves)

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Aozora dorobō (青空どろぼう – Sky’s Thieves). Regia: Abuno Katsuhiko e Suzuki Yuuji; fotografia: Shioya Hisao; editing: Okuda Shigeru; narrazione: Miyamoto Nobuko; musica: Honda Toshiyuki; sound producer: Okada Kozue; produttore: Abuno Katsuhiko; durata: 94′; uscita nelle sale giapponesi: 18 giugno 2011.
PIA: Commenti: 4/5  –  All’uscita delle sale: 75/100

In un periodo in cui l’incidente di Fukushima sembra aver aperto non solo gli occhi della gente sui reali rischi del nucleare ma, in modo forse ancora più drammatico, ha divelto la scatola degli orrori dove si formano le strutture e le relazioni che tengono insieme politica, economia, media e concentrazioni oligarchiche, il genere documentario finisce per acquisire necessariamente ancora più forza ed attenzione. 

Se le varie rassegne di documentari sul nucleare tenutesi in giro per il Giappone sono un evento necessario e benvenuto ma che non desta nessuna sorpresa, così come il rientro nei programmi di alcuni teatri di Into Eternity, è interessante altresì notare il vivo interesse per lavori che hanno la forza di problematizzare quel lato oscuro del progresso economico che ha determinato e dato forma, nel bene e nel male, alla società giapponese degli ultimi 60 anni, di cui l’incidente di Fukushima e il progetto nucleare nipponico più in generale sono solo la punta più visibile.
Il caso analizzato da Aozora dorobō è emblematico per vari motivi, innanzitutto per il contenuto, il cosiddetto caso di avvelenamento dell’aria a Yokkaichi causato dalle raffinerie a partire dall’immediato dopoguerra. In seconda battuta bisogna osservare come per questo lavoro, girato da un team della Tokai TV, siano stati usati molti materiali di repertorio provenienti da altrettanti documentari televisivi realizzati fin dagli anni settanta sempre dall’emittente giapponese. Documentari che, visti in una rassegna quasi contemporanea all’uscita di Aozora dorobō, si sono rivelati veri e propri gioielli, con punte di sperimentazione e poesia che andrebbero analizzate e valorizzate.
Yokkaichi è una città situata nella prefettura di Mie dove le grandi industrie fondate durante il periodo bellico sono state trasformate, dopo la seconda guerra mondiale, in raffinerie che durante gli anni sessanta hanno contribuito al galoppante progresso della zona, non distante da Nagoya. Ma allo stesso tempo hanno soffocato molte aree della città, dove a causa delle esalazioni malevoli si è verificato un vero e proprio avvelenamento dell’aria che ha portato ad una epidemia di asma. Il documentario ci racconta tutto questo attraverso la incredibile documentazione di un sindacalista/attivista dell’epoca, che dai primi anni settanta fino ai nostri giorni, con una persistenza che ha dell’incredibile, ha tenuto diari, parlato con la gente e monitorizzato quasi costantemente la zona. Ciò che salta subito agli occhi, anche grazie al materiale documentaristico  d’archivio, è l’inevitabile salto avvenuto intorno alla metà degli anni settanta quando le grandi lotte e manifestazioni di protesta, dopo aver portato a effettivi miglioramenti della situazione, sono quasi scomparse, almeno nel loro aspetto più macroscopico. E’ lo spirito che è cambiato, segno dei tempi che si sono, per usare una semplificazione, depoliticizzati: come non ricordare lo stesso destino delle lotte contro l’aeroporto di Narita a Sanrizuka, documentate dall’Ogawa Pro fino ai primi anni settanta.
Questo enorme slittamento di mentalità avvenuto in 30-35 anni si manifesta in tutta la sua crudeltà in una scena di questo documentario quando l’occhio della telecamera ci mostra come ora sia operativa nelle ore serali una escursione in barca che permette al pubblico pagante di “godere” del panorama luminoso delle raffinerie.Non solo quindi l’impeto di partecipazione sociale si è assai ridotto con l’impianto industriale  che non rappresenta quasi più un nemico da combattere,  ma il raggiunto stadio di totale spettacolarizzazione rende questo documentario più importante di quel che sembra. Catturando e mostrandoci 40 anni di cambiamenti a Yokkaichi, riesce infatti a esemplificare le tensioni e le problematiche legate all’industrializzazione che hanno mosso il dopoguerra giapponese. 
Ciò che salta subito all’occhio  sono l’ingiustizia verso la gente comune e l’impotenza davanti a scelte più grandi e che si proclamano irreversibili. L’impostazione del documentario è proprio questa, abbastanza tradizionale quindi, dal punto di vista stilistico. Ma l’argomento e i temi che tocca sono troppo grandi e vanno al di là del documentario stesso. Mentre la denuncia dell’inquinamento attuale è giustamente messa  in primo piano, scorrono sul fondo del documentario, formandone la base, i cambiamenti avvenuti nei 30 e più anni presi in considerazione. Alla fine della visione si lascia la sala con la voglia di far uscire la verità sulle condizioni e l’inquinamento attuale, ma anche e soprattutto con un senso quasi di serena disperazione, di irrisolta inquietudine dopo esser stati messi davanti a movimenti tanto complessi, dopo aver visto il dispiegarsi delle varie linee di forza che compongono il movimento storico e che portano al momento attuale.  [Matteo Boscarol]
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