Hazard
Hazard (ハザード, Hazard). Regia: Sono Sion. Sceneggiatura: Sono Sion, Kumakiri Kazuyoshi. Fotografia: Hiro’o Yanagida Montaggio: Shūichi Kakesu. Musica: Harada Tomohide. Interpreti e personaggi: Odagiri Jō, Jai West, Fukami Motoki, Ikeuchi Hiroyuki, Hagiwara Sayako, Richard Brundage, Austin Basis , Carson Grant. Durata: 103’. Uscita nelle sale giapponesi: 11/11/2006 All’origine di Hazard c’è un fatto di cronaca, un omicidio avvenuto in un club sadomaso newyorkese che spinge Sono Sion ad ambientare a New York la sua storia.
A riprese già iniziate, però, stravolge la sceneggiatura e il film diventa una sorta di diario di viaggio del protagonista Shinichi, che, per trovare se stesso, deve perdersi nel cuore ruvido di un’America mitizzata, violenta, ingiusta, razzista ma che vive un fermento ininterrotto e coinvolgente, tutt’altra cosa rispetto al Giappone “addormentato ma insofferente”, come dice più volte nel corso del film la voce di un bambino che accompagna le varie tappe di questa avventura. Apatico e inquieto è, in realtà, lo stesso Shin, immobile, anzi, privo di reazioni, isolato nel suo universo, con lo sguardo distratto dalla realtà del mondo, almeno fino a quando realizza che il suo futuro è a New York. Sono si concentra su di lui fin dal primo momento, personaggio “marginale” nel senso prediletto dal regista giapponese, vale a dire di osservatore acuto e cercatore suo malgrado, che cede a noi i suoi occhi e veicola il nostro sguardo verso dettagli altrimenti destinati a perdersi. Il risultato è il punto di vista vibrante di una macchina da presa in continuo movimento e al tempo stesso complice, vicina e lontana, come il protagonista che cerca la giusta distanza tra sé e le cose che lo circondano e la giusta vicinanza con le persone che incontra. I suoi gesti sono domande lasciate a perdersi nell’aria, sognando di volare e di fuggire, prima di tutto da se stesso, da quel fratello gemello che dice di aver lasciato a Tokyo “identico a me ma diverso, codardo e sempre spaventato dalla vita”. Nell’instancabile corsa di Shin, Lee e Takeda e nella ripetizione ritmata di fughe e scorribande, si nasconde un ritratto attento dei tre protagonisti, di cui Sono si prende cura definendo ognuno nella precisione del suo carattere e dei rispettivi desideri. Ecco perché la narrazione appare frammentaria: in questa linea sottile che attraversa il film, le “interferenze” hanno lo scopo attivo di scavare nei pensieri e conoscere più a fondo i tre ragazzi. Per farlo, Sono agisce sul tempo, lo ferma in una sorta di sospensione continua: ralenti, flashback, immagini oniriche rappresentano il desiderio di spiazzare la continuità e seguire un altro modello di narrazione, basata sui personaggi e non sulle storie. A questo servono gli innumerevoli dettagli sul paesaggio umano e urbano che i tre vivono e attraversano. Le pozzanghere sulle strade, gli uomini seduti ai bordi dei marciapiedi, le buste di plastica che sventolano sugli alberi della periferia, gli edifici diroccati, e poi i dettagli sui volti, gli occhi, gli oggetti, certe parole sottolineate. Oppure le panoramiche sulla città, descritta come a voler rendere omaggio ad un’immagine di New York offerta da certo cinema indipendente americano degli anni Ottanta e Novanta, con le veloci trasformazioni, le vertigini, i silenzi improvvisi, la sgranatura del video che sembra ruvidezza.


Se ti può consolare, al prossimo Torino Film Festival che inizia il 25 novembre, c'è una rassegna dedicata a Sono Sion ….