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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Mienai hodo no tōku no sora wo (A Sky Too Far To See)

mienai3-3847953Mienai hodo no tōku no sora wo (見えないほどの遠くの空を, A Sky Too Far To See). Regia e soggetto: Enomoto Norio; fotografia: Furuya Kōchi; musica: Yasuda Fumio; montaggio: Ishikawa Shingo; interpreti: Morioka Ryū, Okamoto Natsuki, Watanabe Daichi; durata: 99′; uscita nelle sale: 11/6/2011 – Link: Sito ufficialeTrailer
PIA: Commenti: 4/5 All’uscita: 81/100

Punteggio ★★★1/2   


 Lavori dove uno dei temi principali è l’atto del filmare stesso ne esistono in circolazione molti e di diversa qualità e, senza voler per forza sprofondare nei luoghi comuni del “film come la vita”, è senza dubbio sempre interessante osservare cosa questo gesto metafilmico sia capace di volta in volta di dischiudere. Per il suo debutto dietro la macchina da presa lo sceneggiatore e produttore Enomoto Norio sceglie di portare sul grande schermo proprio una narrazione di questo tipo. La storia è quella di un gruppo di studenti impegnati nella realizzazione di un film, “Koko ni iru dake”, e più precisamente dell’ultima scena. E’ così infatti che si apre A Sky Too Far to See, con un intenso piano sequenza che dal cielo estivo azzurro si posa sui due protagonisti seduti sotto un grande albero in mezzo ad un parco per poi continuare il suo movimento all’indietro, uscire dall’inquadratura del film nel film e mostrarci quindi  macchine da presa, tecnici e regista. Davvero un bell’inizio anche grazie all’ottima fotografia dai colori molto vividi ed ai rumori di sottofondo, il frinire assordante delle cicale che ci immerge fin da subito nell’atmosfera dell’estate nipponica.
Ken è il giovane studente/regista di “Koko ni iru dake” che purtroppo però non vedrà mai la luce perchè l’ultimissima parte del film non sarà completata in quanto la protagonista principale prima ne cambierà alcune battute durante le riprese stesse, la scena iniziale che abbiamo descritto, e poi morirà improvvisamente in un incidente lasciando oltre che una pellicola incompleta anche un senso di perdita nei cuori dei giovani ragazzi impegnati nel lavoro. Specialmente Ken sarà quello più turbato dal tragico evento, poiché era  segretamente invaghito della ragazza. Dopo un anno dalla tragedia, Ken incontrerà per caso la sorella gemella della giovane scomparsa e convincerà prima i suoi ex-compagni e poi lei stessa a prendere il ruolo nel film che fu della sorella ed a completare così il film. Ma non tutto è ciò che sembra in A Sky Too Far to See e proprio questa ambiguità che sarà rivelata solo nell’ultima parte del film, risulta tanto più forte quanto le immagini sono nitide, chiare, solari e quasi abbaglianti. Il ritmo del film è abbastanza sostenuto, tenunto anche conto che si tratta di un’opera dai toni esistenzialistici. I due piani temporali che si intersecano, quello poco prima della morte della protagonista e quello della riunione un anno dopo, si incastrano alla perfezione anche grazie alla buona scelta delle location e di un attento uso del sonoro che concorrono ad amplificare quell’atmosfera di “estate giapponese” che risalta ed è il cuore segreto del film. L’estate è infatti il periodo in cui i defunti e gli antenati ritornato a fare visita ai propri cari, è una stagione dove il caldo abbacinante rende quasi tutto irreale. E’ quindi la stagione in cui si riflette di più sul destino e sulla morte in generale e nel film queste tematiche sono ben presenti, la pellicola girata per la scuola di cinema che non riesce a trovare un finale ci rimanda all’incompletezza della nostra vita, al final cut che vorremmo ma non riusciamo quasi mai ad imporre agli eventi.
E’ un buon esordio dietro la macchina di presa quello di Enomoto, che lascia qui trasparire tutto il suo amore per la settima arte sia nei temi che nello stile, con una sceneggiatura molto curata ed attenta che non lascia niente di irrisolto.  O meglio, le parti ambigue ci sono e sono molto importanti per il senso che il film vuole esprimere ma non si tratta mai di un’ambiguità delle immagini, di un’anarchia visiva. Al contrario ci troviamo di fronte ad una forza che è quasi tutta a carico della sceneggiatura e del meccanismo narrativo e questo rappresenta allo stesso tempo sia il punto di forza che il limite del film. [Matteo Boscarol]
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