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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Mirai no kiroku (未来の記録, Record Future)

25e6259c25aa25e6259d25a5-5789798Mirai no kiroku (未来の記録, Record Future). Regia e sceneggiatura: Kishi Kentarō. Fotografia: Kishi Kentarō, Ōtake Shōgo. Scenografia: Ichikawa Aina. Musica: Osugi Daisuke, Goto Ken. Interpreti: Kamimura Satoshi, Anji, Sugiura Chizuko, Suzuki Kosuke, Machida Mizuki, Kobayashi Yukichi, Takahashi Shuhei, Suzuki Yuta, Kawakami Yuri. Produttori: Shimizu Tetsuya, Miyagawa Sachie. Durata: 94′. Uscita nelle sale giapponesi: 14 maggio 2011.
Link: Trailer (Youtube)
PIA: Commenti: 4/5   All’uscita delle sale: 80/100
Punteggio ★★★★   
29° Torino Film Festival (25 novembre – 3 dicembre 2011)
Chi ha visto anche solo un film che la Sushi Typhoon, la casa di produzione nata nel 2010 sotto l’egida della gloriosa Nikkatsu, ha prodotto finora, si sarà sicuramente fatto/a un’idea del genere di opere che la compagnia sforna:  Alien vs NinjaCold FishHelldriver o Karate-Robo Zaborgar sono solo alcune delle pellicole note anche al di fuori del Giappone. La Sushi Typhoon vanta nella sua scuderia registi come Sono Sion, Miike Takashi e Iguchi Noboru ma anche un gruppo di attori che spesso interpretano i personaggi più o meno deliranti che incontriamo nei loro film. Uno di questi è Kishi Kentarō che ha esordito dietro la macchina da presa nel 2011 proprio con il film qua recensito.
Dimenticatevi della Sushi Typhoon. Il debutto di Kishi ha rivelato un regista capace di creare un’opera anni luce distante dalle tematiche e dall’approccio dei film in cui solitamente recita per regalarci una delle visioni giapponesi più stimolanti dell’anno in corso. Nelle proiezioni avvenute a Tokyo la pellicola è stata preceduta da un corto/footage dal titolo “Immigration” girato dallo stesso Kishi quando si recò a Gerusalemme, questo perchè i pochi minuti registrati durante il suo viaggio nel 2007 a Ramallah in Medio Oriente sono stati, secondo lo stesso regista, la fonte d’ispirazione principale per il film.
L’inizio è folgorante, quasi da film sperimentale, e ci presenta i due protagonisti, Sachi e Osamu, una giovane coppia che si trasferisce in una vecchia casa per avviare una scuola. L’edificio sembra essere stato abbandonato in gran fretta dai precedenti inquilini che vi hanno lasciato mobilio e oggetti. I ragazzi scoprono che si tratta della sede di una ex scuola gestita da un insegnante dai metodi innovativi: utilizzando le sedie, i banchi e i giocattoli lasciati dal professore, la ragazza avverte un senso di déjà-vu. La storia comincia in modo labirintico con un andamento a spirale dove passato e futuro si incrociano spesso in uno spazio che sembra più qualcosa di immaginato dai due protagonisti che un presente dove accadono gli eventi. Fin dalle prime battute, infatti, ci viene ripetuto che forse la protagonista è intrappolata nel sogno della madre. Ma il pregio del film non è questo, di opere che si perdono pur avendo dei presupposti filosofici non indifferenti ce ne sono tante. Kishi, con l’aiuto dell’ eccellente performance dei suoi attori, riesce a non essere mai banale e a sperimentare col e nel  linguaggio cinematografico e nell’approccio alla narrazione. Uso di filtri, immagini a saturazione diversa, loop, time lapse, un’insistenza nell’uso di riprese con videocamera a mano filtrate da vetri, porte, soglie, passaggi a livello e, come filo conduttore simbolico,  le scene di un teatrino di carta che raccontano la storia di Cappuccetto Rosso. Tutto questo si intreccia  per formare quella trama di immagini su cui Kishi riesce a sviluppare temi importanti come la colpa, la memoria, l’impossibilità di dimenticare e la necessità di ricordare. Ciò che viene svelato fotogramma dopo fotogramma, scena dopo scena, in una composizione di immagini che a volte può sembrare caotica, emerge verso la metà del film quando il dramma passato/futuro del protagonista Osamu viene rivelato allo spettatore.
Anche in questa pellicola, come in molti altri film, pregio ed allo stesso momento limite di certa cinematografia giapponese, vengono toccate problematiche come quella della famiglia, dei rapporti personali e della violenza che spesso da questi scaturisce. Ma, ed è una sana boccata d’aria ed uno degli indubbi meriti di questo lavoro, questi elementi non finiscono per “mangiarsi” il film in una tanto giusta quanto facile critica sociale. Al contrario, pur essendo queste in qualche modo le colonne su cui si sviluppa la narrazione, esse non rappresentano il cuore pulsante del film. Record Future è infatti, ma ognuno sarà libero di trovare quello che cerca in quest’opera che è per sua natura aperta a molteplici interpretazioni, un film sulla consistenza del tempo e sulla coesistenza e sovrapposizione fra passato e futuro, su come ogni singolo istante sia attraversato da una moltitudine di possibilità compresenti, siano esse schegge di passato o futuri possibili. Kishi riesce in questo senso a liberare e restituirci la potenza plurima e ambigua delle  immagini.  Questo senso di compresenza traspare già nelle battute iniziali quando vediamo i due protagonisti all’interno della scuola attraverso il vetro della finestra, ovvero il punto di vista della videocamera ed il nostro è quello di un occhio esterno che li sta osservando. Ad un certo punto per pochi istanti intravvediamo delle dita sfiorare la finestra dall’esterno, cioè dalla “nostra” parte. Sebbene sia una tecnica abbastanza comune e quasi abusata per creare tensione, specialmente nel genere thriller e quello horror, qui ci suggerisce quasi un senso di sovraimpressione del tempo e di ripetizione quasi preregistrata degli eventi. Lo stesso uso della voce esterna da parte dei  protagonisti lungo tutto il film, quasi a commentare quello che sta succedendo come fosse un ricordo o un sogno immaginato, è fondamentale per creare questo effetto disorientante che accompagna tutta l’opera fino alla sua conclusione. [Matteo Boscarol]
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2 commenti su “Mirai no kiroku (未来の記録, Record Future)

  1. Visto ieri al festival, e mi è piaciuto molto. Concordo con la tua analisi e con il giudizio positivo. Io parto sempre un po' prevenuto con le pellicole di natura sperimentale, ma questa mi ha tenuto incollato alla poltrona dall'inizio alla fine. Mi dispiace di non aver assistito all'incontro con l'autore.

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