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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Antoki no inochi (アントキノイノチ, Life Back Then)

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Antoki to inochi (アントキノイノチ, Life Back Then). Regia: Zeze Takahisa. Soggetto: da un romanzo di Sada Masashi. Sceneggiatura: Tanaka Sachiko, Zeze Takahisa. Montaggio: Kikuchi Jun’ichi. Musica: Muromatsu Takatsugu. Interpreti e personaggi: Okada Masaki (Kyōhei), Eikura Nana (Yuki), Harada Taizō, Matsuzaka Tori, Emoto Akira. Produzione: Hirano Takashi, Shimoda Atsuyuki per “Life Back Then” Film Partners. Durata: 131’.  Uscita nelle sale giapponesi: 19 novembre 2011.
Link: Sito ufficialeMathieu Li-Goyette (Panorama Cinema) – Mark Schilling (Japan Times).
PIA: Commenti: 3,5,/5   All’uscita delle sale: 67/100

Punteggio ★★★

Senza raggiungere la forza del precedente  Heaven Story (2010), con Life Back Then (Antoki to inochi), Zeze Takahisa prosegue con autorevolezza il suo cammino  nell’ambito di un cinema drammatico che ha ormai ben poco a che vedere con i suoi precedenti film erotici (se non per quella centralità che gli esseri umani, soprattutto a partire dalle loro debolezze e dalla loro marginalità, continuano ad assumervi). Life Back Then riprende per certi aspetti Departures (Okuribito, 2008) di Takita Yōjirō, nel raccontare una storia i cui protagonisti lavorano a stretto contatto con la morte. Se nel film di Takita si trattava della vestizione dei defunti, qui, invece, Kyōhei e Yuki, i due ventenni al centro dell’intreccio, sono impiegati di un’agenzia il cui compito è quello di ripulire le case di coloro che vi sono morti in solitudine e di raccoglierne e conservarne gli averi in attesa di qualcuno che li richieda. Il nostro ruolo, afferma un collega più anziano dei due, quando maldestramente Kyōhei  fa cadere da uno scatolone delle VHS porno, appartenenti a un uomo appena morto, davanti agli occhi di una sua sbigottita parente, è quello di «preservare la dignità dei defunti». Le scene che si svolgono all’interno delle case dei deceduti sono fra le più riuscite e toccanti del film, non solo per il rituale con cui sono eseguite le diverse operazioni, ma soprattutto per il modo in cui ogni volta gli oggetti del defunto finiscono col raccontarci sua vita di dolore e solitudine. La morte è l’indiscussa protagonista del film, che gioca in chiave melodrammatica – forse con qualche eccesso – sull’incontro fra due giovani, l’uno convinto di «avere ucciso due volte» e l’altra, dal canto suo, di «essere stata uccisa due volte». Intessuto di numerosi flashback, soprattutto dedicati a Kyōhei e ai maltrattamenti da questi subiti negli anni di scuola a causa della sua balbuzie, Life Back Then fa della morte una costante presenza nella vita di ogni individuo, qualcosa che segna inesorabilmente la nostra esistenza e con cui siamo continuamente costretti ad avere a che fare. La morte si affaccia nella nostra vita non solo attraverso la fine dell’esistenza, nostra o altrui che sia, ma anche attraverso tragiche esperienze – come lo stupro subito da Yuki – che uccidono qualcosa dentro di noi e ci costringono in qualche modo a diventare altro da quel che eravamo. Non c’è molta speranza nel cinema di Zeze, come bene esprime la scena in cui i due giovani rinchiusi nell’angusta cabina di una ruota panoramica non possono fare altro che mettersi a urlare tutta la loro disperazione. Eppure non si tratta di un universo segnato esclusivamente da una pura dimensione nichilista. Il sorriso di una bambina quasi miracolosamente scampata alla morte e la voce di Yuki proveniente dall’aldilà, che chiudono il film, sono piccole e luccicanti gemme capaci di illuminare ancora anche le esistenze più buie. [Dario Tomasi]

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