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New town no seishun (ニュータウンの青春, Tominaga Park)

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New town no seishun (ニュータウンの青春, Tominaga Park). Regia, soggetto e montaggio: Morioka Ryū. Fotografia: Furuya Kōichi. Interpreti: Shimamura Kazuhide, Iida Kaoru, Mine Gōichi, Kawai Aoba. Durata: 95′. Anno: 2011.
Asian Film Festival Reggio Emilia 2011.
 Punteggio ★★
 
Esordio al lungometraggio per il giovane regista che, proprio come uno dei protagonisti della storia, fin dai tempi del liceo riprende tutto ciò che lo circonda.
Shimamura, Iida e Gōichi sono tre studenti amici che ingannano i pomeriggi bighellonando in uno spiazzo davanti ad un condominio. Qui abita la signorina Tominaga, più grande di loro, oggetto dell’ammirazione dei tre. La ragazza ad un certo punto chiede il loro aiuto per essere liberata da un fastidioso stalker, che la ossessiona di telefonate. I ragazzi si gettano a capofitto nell’impresa e, con metodi quasi da fumetto, riescono ad individuare il molestatore, che si rivelerà essere un ex fidanzato di Tominaga, ancora innamorato di lei. La coppia, inaspettatamente, torna insieme, lasciando i tre improbabili bodyguards senza compiti… Annoiati dalla situazione, decidono di assumere loro stessi le vesti di stalker, entrano fraudolentemente nell’appartamento della donna, ma si fanno scoprire e sono costretti ad una fuga rocambolesca.
Un’opera spensierata, di formazione, certamente ingenua, con qualche spunto interessante. Un racconto concentrato sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con tutta la richiesta di attenzione che il momento comporta, con tutta la tenerezza, ma anche la sofferenza, di ogni trasformazione. Sono quasi tre bambini quelli che vengono inquadrati all’inizio sullo spiazzo di cemento, insieme ad un grosso delfino di plastica e ad uno scivolo. Giocano, si rincorrono. Uno di loro, Iida, inventa storie assurde, ingigantisce la realtà, proprio come fanno i piccoli. La città che hanno d’attorno, e che il regista a tratti riprende, è fatta di casermoni e ammassi di rifiuti. Nel percorso dei tre c’è l’attenzione concessa dalla ragazza e poi il suo rifiuto, nel momento in cui si ricongiunge al fidanzato-stalker, il che, classicamente, scatena la loro risposta aggressiva. Ma è la vita che infine li condurrà per mano ai loro reciproci destini: una delle sequenze che ho apprezzato di più è quella in cui Iida, avvicinatosi a due loschi individui probabili yakuza, lascia i compagni e si allontana al ralenti insieme ai malavitosi, avvolto da una pioggia di piccoli foglietti di carta (che sembrano petali di fiori) sparati dal fucile giocattolo degli amici. Del suo destino, forse drammatico, il regista fa cenno tramite le parole di Shimamura che racconta, alla fine, come il “fantasma” di Iida fosse avvistato a volte nella zona del condominio.
È anche una storia di profonda amicizia: i tre sono praticamente inseparabili e Iida, nel momento in cui saranno scoperti nell’appartamento della donna, decide di farsi inseguire sul tetto dalla padrona di casa, pur di salvare i suoi amici.
Non mancano scene grottesche, come quella in cui Shimamura si immagina con una gigantesca pettinatura afro o quando, al vedere la ragazza di cui è infatuato allontanarsi con un altro, la testa gli rotea vorticosamente fino a staccarsi…
Un tocco di poesia la figura del ragazzo che dipinge ogni cosa con la vernice bianca: un personaggio naïf, che si aggira nello scenario desolato di periferia con una latta di vernice, a “ricoprire” le brutture che incontra.
Una curiosità: nel finale Shimamura presenta il suo film e, uscendo prima della fine dalla sala, si ferma a fare due chiacchiere con un altro ragazzo e accenna alla sua predilezione per Tanpopo il film di Itami Jūzo, il primo “ramen western”. [Claudia Bertolè]
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