Tsukamoto Shin’ya
a cura di Claudia Bertolè
Il regista Tsukamoto Shin’ya è stato ospite dell’ultima edizione (2012) dell’Asian Film Festival di Reggio Emilia, che gli ha dedicato una retrospettiva comprendente ben dodici dei suoi film (vedi il nostro Speciale, comprendente tutte le schede critiche). Gli è stato anche consegnato un premio alla carriera. Il 18 marzo 2012 ha partecipato ad un incontro durante il quale ha risposto alle domande sia del pubblico che dei giornalisti presenti. Eccone alcuni spunti.
I suoi film, da un certo momento in poi, si concentrano maggiormente sulle figure femminili, fino ad arrivare a Kotoko, nel quale arriva a trattare il tema della maternità.
Si tratta di un percorso articolato nel tempo. Per sintetizzarlo al massimo posso dire che mi sono trovato ad un certo punto della mia vita ad accudire per sette anni mia madre ammalata, e allo stesso tempo mia moglie stava crescendo mio figlio. Questi due aspetti, della vita della donna, mi hanno fatto riflettere.
Nei suoi film sono presenti momenti di danza, spesso poco notati dai critici…
Si, anche questo è un modo per mettere in evidenza il corpo femminile, avvolto in abiti leggeri, e che il movimento fa risaltare.
Quanto è invece importante la musica?
Io “nasco” come pittore. Quindi per me è naturale creare delle immagini e senza dubbio è la musica che riesce a renderle vive. A proposito di pittura e animazione, mi piacerebbe in futuro poter realizzare un film animato, magari con le nuove tecniche digitali, di argomento erotico.
Quali sono i registi occidentali che l’hanno influenzata?
Per fare solo qualche esempio, direi Fellini, con il suo Amarcord e sicuramente Dario Argento. C’è una scena in Tenebre, in cui si vede un braccio tagliato e allungato, molto bella.
…e orientali?
Edward Yang per esempio.
Lei ha iniziato la sua carriera di regista sperimentando in 8mm…
Si, è stata un’esperienza fondamentale perché mi ha fatto capire quanto sia importante riuscire a fare “tutto” da solo, lo faccio ancora adesso.
Spesso affronta il tema dell’uomo inserito nella società che lo circonda.
Non è normalmente un tema specifico che ho in mente quando inizio a girare, ma è inevitabile… Io vivo a Tokyo, dove tutto è tecnologia spinta. Per sopravvivere in un posto del genere bisognerebbe veramente essere come Tetsuo!
E a proposito di Tetsuo, è un film della fine degli anni Ottanta, venivamo dal movimento cyberpunk, ma non solo, era anche il momento di maggior cementificazione delle città e io volevo che nel mio film vi fosse il riflesso anche di questo.