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Shokuzai (贖罪 – Atonement) – Episode 2

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Shokuzai (贖罪 – Atonement)
Episodio 2: Extraordinary PTA General Meeting. Regia e sceneggiatura: Kurosawa Kiyoshi. Soggetto: dal romanzo di Minato Kanae. Fotografia: Ashizawa Akiko. Montaggio: Takahashi K
ōichi. Musica: Hayashi Yūsuke. Interpreti e personaggi: Koike Eiko (Shinohara Maki) Koizumi Kyōko (Adachi Asako), Mizuhashi Kenji (maestro Tanabe), Narushi Ikeda (vice preside), Norihiko Hofuku (maestro Yamase), Hirota Otsuka (maestro Muruyama), Pe Jyon-myon (Kazuya Sekiguchi). Produzione: WoWow. Durata: 50’. Trasmesso alla tv giapponese domenica 15 Gennaio 2012.

Nel parco di una scuola, cinque bambine, Sae, Maki, Akiko, Yuka ed Emiri, stanno giocando insieme, quando sopraggiunge un uomo che, con una scusa, porta via con sé Emiri. Nella palestra della scuola, l’uomo allunga una mano verso la bambina. Nel parco, le amiche rimaste decidono di andare a cercare Emiri e, arrivate sino alla palestra, ne scoprono il corpo senza vita. Maki corre a scuola e cerca invano una maestra. Dalla finestra dell’edificio vede sopraggiungere la polizia. A casa, la madre le chiede se riesce a ricordare il volto dell’assassino, ma a questa, e al poliziotto che poco dopo l’interroga a scuola, la bambina dice di non rammentare nulla. Ancora a casa, Maki risponde in malo modo alla madre, quando questa vuole sapere perché ha rinunciato al suo ruolo di capoclasse. Maki e le sue tre amiche vanno a trovare Asako, la madre di Emiri, che le rimprovera duramente per il fatto di non riuscire a ricordare il volto dell’assassino e dice loro che non si libereranno mai dal senso di colpa che le attanaglia.
Quindici anni dopo il caso è ancora irrisolto. e Maki, ormai adulta, è diventata insegnante. L’esperienza passata la spinge ad un eccesso di zelo nel tentare di sorvegliare e proteggere i suoi allievi, con i quali talvolta è troppo severa, così da attrarsi le critiche dei genitori e i conseguenti rimproveri del direttore. L’unico collega che sembra esserle solidale è l’insegnante di educazione fisica, Tanabe. Un giorno, Maki sorprende alcuni bambini molestare una loro compagna e, quando rimane sola con questa, reagisce con eccessiva durezza al suo silenzio (che le ricorda il comportamento suo e delle sue amiche in occasione della morte di Emiri), suscitando così ancora una volta le proteste dei genitori, coi quali sarà costretta a confrontarsi nel corso di un’assemblea, dove solo Tanabe prenderà le sue parti. In occasione del quindicesimo anniversario della morte di Emiri, Maki si reca al cimitero, dove incontrerà Asako, la madre della bambina scomparsa, cui confessa di non essere riuscita a dimenticare l’accaduto e di continuare il suo processo di espiazione. Dopo una seduta di kendo, disciplina che la donna pratica da alcuni mesi, Maki difende i suoi allievi dall’aggressione di uno psicopatico, che colpisce ripetutamente con l’aiuto di un bastone, mentre i bambini e Tanabe la osservano dalla vasca della piscina in cui si erano tutti rifugiati. Improvvisamente Maki diventa l’eroina della scuola, mentre Tanabe, sospeso per la sua vigliaccheria, e messo da tutti all’indice. Poco alla volta, però, si diffonde la voce che Maki abbia colpito con una foga eccessiva l’aggressore, e, dopo che in una seduta di kendo, la donna, ossessionata dall’accaduto, si lascia andare ad attacchi troppo violenti, finisce ancora con l’essere oggetto di aspre critiche. Nel corso di un nuovo confronto pubblico coi genitori, e al quale chiederà ad Asako di partecipare, la donna confesserà che le vere ragioni del suo gesto vanno ricercate nella tragica morte accorsa ad Emiri. Dopo la fine della riunione, Maki è aggredita dallo psicopatico della piscina che la colpisce con un pugno, e ad Asako, accorsa in suo aiuto, dice di essere riuscita a ricordare, ma solo per pochi attimi, il volto dell’assassino.

L’intensità drammatica del prologo poggia sulla suspense, su un graduale innalzamento della tensione e dell’attesa, su una dinamica dell’azione che fa presagire l’evento criminale e le sue immediate conseguenze. Il clima sereno dei giochi delle bambine è interrotto dall’immagine dell’uomo visto di spalle, in primo piano, con le sue potenziali vittime di fronte, in profondità. Quando l’uomo si allontana con la piccola Emiri, una musica da thriller hitchcockiano incalza per sottolineare l’imminenza di un fatto inevitabile. La disperazione di Maki, durante la vana ricerca di una maestra nei locali scuri e silenziosi dell’edificio scolastico, è accompagnata da una macchina da presa instabile che simula il suo affanno. Soprattutto, Maki non è in grado di ricordare il volto dell’assassino, che neanche lo spettatore è riuscito a vedere. È questo il punto d’origine, della narrazione e quindi del trauma e delle ossessioni a cui la protagonista deve far fronte per l’intero sviluppo della vicenda, la quale procede tramite una lineare e schematica alternanza di eventi: i suoi atteggiamenti con gli allievi che diventano compromettenti, il suo confronto con la dirigenza e i colleghi, con le voci ed i pettegolezzi che la riguardano e, infine, con i genitori pronti a svolgere funzione di giudici inquisitori. Questa è la pena che la donna deve scontare: l’inquietante atmosfera del climax iniziale assume la forma di un’apparente normalità, di una routine professionale e scolastica, di un più ampio sistema di relazioni, di formalità, rituali sociali, che non appaiano affatto confortanti. Vi è un ribaltamento della tipica struttura di genere: la causa del trauma è data sin dall’inizio dove la tensione raggiunge il suo apice, a cui segue un cosciente percorso di rielaborazione interiore, dal tono per certi aspetti melodrammatico, tanto che la rivelazione finale non è altro che la constatazione di un lungo patimento.
Vi è come un cortocircuito che si avvia da quell’evento tragico, individuale, che coinvolge la maestra in prima persona, ma anche collettivo, che ingloba l’intero microcosmo rappresentato, le distorsioni della società. La puntualità con cui un maniaco, o un aggressore, giunge per minacciare l’integrità dei bambini e della protagonista, nell’incipit, come nella piscina, o nella scena di chiusura; il fallimento delle indagini; la leggerezza schizofrenica con cui è giudicato l’operato dell’insegnante, acclamata come un’eroina, prima, e messa, invece, all’indice per la sua eccessiva violenza, poi. Paradossalmente il suo atteggiamento protettivo si rivela in una forma incontrollata di violenza, come quando tenta di proteggere la bambina dai bulli di turno o quando assale un allievo nella palestra di kendo. Tutti eventi che non sfuggono all’opinione pubblica, pronta ad erigersi a commissione giudicante che condiziona l’espulsione degli insegnanti messi in balia degli umori e delle influenze esterne.
È un cortocircuito che mette in gioco i confini fra la volontà, i buoni propositi, l’ambiguità del reale, il giudizio altrui, il concetto di giustizia, la dicotomia fra etica individuale e morale collettiva. Emblematica, in questo senso, è la scena in cui la donna parla con un suo collega, dopo che è stata richiamata dalla dirigenza, confessandogli come la tragica morte di Emiri le abbia fatto perdere il senso della giustizia. È un’affermazione che riguarda l’individualità della donna, ma che nel film si riverbera su un piano più generale. Le riunioni, gli incontri genitori-insegnanti, indicati dal titolo dell’episodio, assumono la connotazione di un’amara farsa teatrale in cui si realizzano le dinamiche sociali, dove prendono forma i conflitti individuali e collettivi, dove si esplicano le tappe conclusive di un percorso di espiazione durato quindici anni. L’incontro con Asako, la madre di Emiri, sancisce l’inizio di un epilogo in cui convergono circolarmente il passato, la vita privata, quella professionale e, infine, il rimosso. Lo stesso spazio teatrale contrappone la platea al palcoscenico, i genitori incalliti e il corpo docente intimidito, in una sorta di grottesca coesione sociale in cui vige una rigida formalità volta a rivelarsi inconcludente e superficiale. Quel teatro delle passioni messo in scena nella riunione-spettacolo finale, infatti, determina l’inconciliabilità fra il trauma personale e l’integrazione sociale, volge a constatare la stessa circolarità dell’elemento tragico, del vago, indefinito e inquietante senso della giustizia, del variabile criterio di giudizio. [Davide Morello]

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