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Unmei janai hito (運命じゃない人, A Stranger of Mine)

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine
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Unmei janai hito (運命じゃない人, A Stranger of Mine). Regia, soggetto e sceneggiatura: Uchida Kenji. Fotografia (colore): Inoue Keiichiro. Montaggio: Fushima Shin’ichi. Suono: Iwakura Masayuki. Musiche originali: Ishibashi Mitsuharu. Interpreti e personaggi: Nakamura Yasuhi (Miyata Takeshi), Kirishima Reika (Kuwata Maki), Yamanaka Sō (Kanda Yusuke), Itaya Yuka (Kurata Ayumi), Yamashita Kisuke (Asai Shinobu). Produzione: Amano Mayumi, Nakamura Masaya per Imagica, Nikkatsu, Pia. Durata: 98’. Uscita nelle sale giapponesi: 16 luglio 2005.
Cannes Film Festival 2005: Grand Golden Rail, SACD Screenwriting Award, Young Critics Award. Hochi Film Awards 2005: Migliore regista. Kinema Junpō Award 2006: Migliore sceneggiatura. Mainichi Film Concours 2006: Migliore sceneggiatura, Migliore attore non protagonista(Yamashita Kisuke), Migliore attrice non protagonista (Itaya Yuka). Yokohama Film Festival 2006: Miglior nuovo regista. Premio speciale della giuria
Presentato in anteprima mondiale al Cannes Film Festival (14 maggio 2005).
Miyata Takeshi è un impiegato timido ed introverso che non riesce a dimenticare la sua ex fidanzata. Grazie all’aiuto e all’intraprendenza dell’amico detective Kanda Yusuke, Takeshi conosce Kuwata Maki, una giovane donna che ha deciso di chiudere con un passato che l’ha delusa ed iniziare una nuova vita in completa solitudine. Non avendo alcun posto dove andare, Takeshi invita Maki a soggiornare da lui almeno per una notte. Tra scuse e titubanze, la donna accetta l’offerta, ma una volta sistematisi nell’elegante appartamento, si presenta alla porta Kurata Ayumi, ex compagna dell’impiegato. Maki si sente fuori posto e decide di andarsene, non prima però di aver detto ciò che pensa alla nuova arrivata, egoista e invadente. La donna sale su un taxi e Takeshi la rincorre: l’incontro è stato fortuito, ma lui vorrebbe rivederla. Di ritorno al suo ufficio, il detective Yusuke si trova di fronte Ayumi. La donna gli chiede aiuto per fuggire con dei soldi che ha rubato al suo nuovo amante, il boss yakuza Asai Shinobu. Consapevole della reputazione della donna, Yusuke è reticente, ma acconsente ugualmente ad aiutarla in cambio di un milione di yen. Ayumi accetta ed insieme si recano da Takeshi per recuperare il passaporto di lei, ma mentre stanno per andarsene, il proprietario di casa rientra inaspettatamente. Grazie ad un’improvvisata di Yusuke, tutto fila liscio e nuovamente in strada, la coppia si dirige agli uffici della yakuza per riconsegnare la valigetta con all’interno il denaro. Intascato il milione, il detective si congeda da Ayumi, raggiungendo Takeshi al ristorante dove incontreranno Maki. La yakuza è però sulle sue tracce e scovatolo, lo conduce agli uffici del loro capo. Quando il boss arriva in compagnia di Ayumi, l’inganno di quest’ultima è già stato scoperto e per far luce sulla faccenda, Shinobu si reca anch’egli all’appartamento di Takeshi. Nascosto sotto il letto, l’uomo scopre dove Ayumi aveva celato i contanti, notando con stupore che ora, qualcun altro è intenzionato ad appropriarsene.
Delineando sullo schermo le fisionomie di personaggi tra loro eterogenei, ed al contempo accomunati da un condiviso senso di abbandono e di bisogno dell’altro, Uchida Kenji tratteggia con abilità l’individualismo dell’essere umano contemporaneo, colto nella sua intimità emotiva e relazionale. Concentrandosi su due coppie tra loro oppositive, Maki e Takeshi, da una parte, e Yusuke e Ayumi, dall’altra, l’autore ne mette in luce la dedizione, la sincerità e la fiducia nel prossimo della prima, in opposizione alla risolutezza, la falsità e l’ambivalenza della seconda. L’agire di entrambe trova a sua volta, accidentalmente, un profondo coinvolgimento mediante l’entrata in gioco di Shinobu, terzo elemento di un articolato ed energico meccanismo narrativo che rivelerà le debolezze di tutti i suoi componenti. Nel suo essere imbrogliato, il boss malavitoso si mostra il personaggio più scaltro della vicenda, l’unico in grado di saper sfruttare davvero a suo vantaggio l’avidità di chi lo circonda. L’arrovellarsi dell’essere umano nei confronti del denaro (secondo leitmotiv del film, dopo l’angoscia della solitudine), permette inoltre all’autore di soffermarsi, in modo originale e trasversale, sulle difficoltà finanziarie dell’organizzazione criminale per richiamare l’attenzione sulla recessione economica che da tempo sta vivendo l’intero paese. All’interno della gang criminale, la costosa immagine che si da di sé è un aspetto fondamentale, alla base di qualunque rapporto. Meglio dunque compiere scelte oculate, risparmiare risorse e usufruire delle capacità altrui (Yusuke e Ayumi saranno infatti graziati ed assoldati per il loro ingegno), lasciando emergere l’egoismo e l’avidità del prossimo, senza necessariamente intervenire con l’uso di una dispendiosa violenza. Sullo sfondo di una venalità condivisa, da cui soltanto Takeshi è esente ed al contempo vittima indiretta, la tesi dell’autore (che non cerca il dramma ma predilige l’intrattenimento) pare semplice quanto fondamentale: non è mai troppo tardi per rivalutarsi, ricredersi e saper cogliere l’imprevisto, nel corso della vita bisogna avere il coraggio di osare per ottenere ciò che si desidera. Nell’imprevedibilità in cui affonda i suoi protagonisti, caratterizzata da fallacità e debolezza nel cadere preda della bramosia e dell’egoismo (che è prossima a cogliere tutti, specialmente quando si è più indifesi), Uchida rappresenta con solarità la forza dell’ottimismo e della fiducia da infondere nel prossimo quale invulnerabile baluardo alla precarietà dell’esistenza.
Attraverso il punto di vista del singolo personaggio, il sovrapporsi delle casualità che contemplano l’esistenza, i raccordi umani che non conoscono confini e di cui non si è a conoscenza, il regista propone un invito indiretto a cercare di vedere ciò che ci circonda sotto una nuova prospettiva. In modo inusuale, poiché ogni azione, ogni scelta, ogni cambiamento ed ogni rifiuto sono causa di modificazioni all’apparenza impercettibili ma pregnanti. L’accidentalità e la compresenza sono rappresentate in modo naturale, senza enfatizzarne l’accadimento, riproponendo la medesima situazione o il medesimo punto di vista, attraverso una conoscenza a posteriori che non necessita di grandi rivelazioni, poiché già di per se stessa indicativa del particolare e della nuova interdipendenza che lega, l’un l’altro, i protagonisti. Prende così vita un avvincente schema di incastri narrativi, in cui l’evolversi temporale avanza grazie alla rivisitazione dei singoli accadimenti, di volta in volta caratterizzati dall’esperienza di un personaggio differente, inconsapevole di essere a sua volta vittima di scelte che non gli appartengono. Legami e interdipendenze sono dunque spesso connaturati alla differenza di consapevolezza che un personaggio ha dell’altro e che lo spettatore può attribuire al ripetersi di una situazione già proposta. La telefonata iniziale tra Takeshi e Yusuke, ad esempio, assume così un risvolto del tutto inaspettato, svelando una nuova conoscenza per lo spettatore, mantenendo al contempo all’oscuro l’ingenuo impiegato sulla realtà degli eventi e il suo coinvolgimento. Allo stesso modo, l’avvicinarsi imbarazzato di due anime ferite può trovare una nuova rappresentazione, come nella soggettiva di Shinobu che, nascosto sotto il letto, osserva le movenze dei piedi di Maki e di Takeshi nel loro continuo approssimarsi e disgiungersi.
Lavorando su punti di vista e conoscenza, in un’alternanza accorta di suspense e sorpresa, la regia di Uchida appare ferma e posata, caratterizzata dall’uso di piani frontali e rari movimenti di macchina. L’autore predilige una narrazione con predominanza di dialoghi rispetto all’azione, evitando spesso, nei passaggi di maggiore intensità emotiva, l’uso del classico campo contro-campo a favore di piani d’insieme in campo lungo e piani sequenza con camera fissa. Il tono sovente svagato dei dialoghi non gli impedisce, al contempo, di soffermarsi sull’accoramento dei suoi personaggi. Nella presentazione di Maki, traspare immediata una sensazione di abbandono per un soggetto chiuso in se stesso, in compresenza di un mondo caotico e dinamico che non si cura del suo malessere. Aspetti che evidenziano la capacità da parte dell’autore di lavorare con differenti registri narrativi: dalla commedia dei gustosi confronti tra Yusuke e Takeshi, al dramma emotivo di Maki, passando attraverso la freddezza calcolatrice di Ayumi e le capacità manipolative di Shinobu.
Offrendo diversi spunti di riflessione (il bisogno dell’altro, il desiderio di arricchirsi, il timore della precarietà), attraverso una diegesi ad incastro dai punti di vista convergenti, Uchida riesce ad appassionare e divertire. Grazie ad un impeccabile senso del tempo e del ritmo (sovente legato alla capacità del regista di associare il contrappunto musicale ad una particolare azione del soggetto dell’immagine), la pellicola da vita ad una gradevole armonia espositiva, da cui traspare un tenace ottimismo in grado di riscattare l’animo umano dalle insidie in cui non cessa di cadere. [Luca Calderini]
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