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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Tsure ga utsu ni narimashite (ツレがうつになりまして, My S.O. Has Got Depression)

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Tsure ga utsu ni narimashite (ツレがうつになりまして, My S.O. Has Got Depression). Regia: Sasabe Kiyoshi. Soggetto: dalla serie di manga di Hosokawa Tenten. Sceneggiatura: Aoshima Takeshi. Fotografia: Hamada Takeshi. Interpreti: Sakai Masato (Tsure), Miyazaki Aoi (Haru), Ōsugi Ren (il padre di Haru), Yo Kimiko (la madre di Haru), Tsuda Kanji (il fratello di Tsure).  Durata: 121′. Uscita nelle sale giapponesi: 8 ottobre 2011.
Link: Sito ufficialeMark Schilling (Japan Times) – Miguel Douglas (iSugoi.com) 

Punteggio ★★1/2

Haru (Miyazaki Aoi) è una disegnatrice di manga e il marito, soprannominato “Tsure” [consorte] è un salaryman che lavora all’ufficio reclami di una azienda straniera di computer. Tsure è molto preciso e meticoloso nell’organizzare la propria vita: ogni giorno una cravata preordinata, ogni giorno un contenitore di cibo preparato con il dovuto anticipo. Tanta precisione inizia però a mostrare delle crepe e man mano che queste si allargano, Tsure cerca di insistere, di rimboccarsi le maniche (“ganbaru” si dice in giapponese) ma non serve a nulla e arriva al collasso psicofisico che lo costringe a rivolgersi a un medico. Inizia a prendere dei farmaci ma Haru, che nel frattempo ha perso il lavoro, capisce e lo convince che la cura principale è lasciare il lavoro. Rinchiudersi in casa consente a Tsure di lasciar fluire la sua malattia, che per chi non lo sapesse, si manifesta anche e soprattutto in una sconsolata e drammatica mancanza di energie, che trasforma persino la cosa più banale, come rispondere al telefono, in uno sforzo supremo. Piano piano, però, grazie alla crescente comprensione e al corrisponente aiuto di Haru, Tsure ritrova la forza, se non di reagire, almeno di convivere con la sua malattia. Tempo dopo, vediamo Tsure che presenta al pubblico il diario che ha scritto durante tutto questo tempo e che Haru ha disegnato. Sarà un successo.
Nella società e in particolare nelle aziende giapponesi la depressione è ancora negata o nascosta. Al posto di depressione si parla al massimo di stress, dovuto ovviamente al lavoro, e al posto di psicoterapia e comprensione si usa dire a chi è depresso “ganbare!”, cioè “forza!”, “datti da fare!”. “Ganbare” ha una ampia gamma di significati, da “mettercela tutta” a “tirarsi su le maniche”, “farcela da solo”, “risollevarsi” ed è il motto subliminale su cui il Giappone ha costruito le sue conquiste economiche fin dal dopoguerra. Logico quindi che anche nel cinema il fenomeno della depressione non abbia mai trovato grandi rappresentazioni. L’unica, notevole, eccezione è Yawarakai seikatsu di Hiroki Ryūichi, dove una straordinaria Terajima Shinobu recita lo star male in quanto tale.
Tratto da una serie di manga di grande successo che racconta la storia vera dell’autrice alle prese con il marito affetto da una grave depressione e che aveva già originato un drama televisivo nel 2009, il film cerca di raccontare questa malattia senza misteri e senza retorica. “La depressione – dice il medico del protagonista – è come un raffreddore dell’animo”.
Sasabe Kiyoshi – già autore di Yunagi no machi sakura no kuni (Yunagi City, Sakura Country) riferito ai sopravvissuti di Hiroshima – consapevole di queste limitazioni culturali ma consapevole anche del rapido e crescente diffondersi di casi di depressione nella società giapponese, si è impegnato per trasmettere con un film per il grande pubblico pochi ma forti messaggi di base. Il primo è che fra “sentirsi giù” ed “essere malati di depressione” c’è una differenza di campo: la depressione è una malattia vera che risale anche all’insufficienza di componenti chimiche del cervello e può condurre a esiti drammatici. Il secondo è che chi è depresso può essere aiutato e può guarire.
Il compito non era facile e Sasabe ha dovuto giocoforza addolcire la confezione per farla accettare a un pubblico più vasto possibile. Qua e là c’è forse un eccesso di dolcezza e di “carinerie”, a partire dagli arredi di una casa molto calda e confortevole, fino ad arrivare al piccolo iguana affettuoso che sostituisce il cane domestico di turno. In cambio, il film riesce effettivamente a far passare l’idea – che per la società giapponese è dirompente – che per affrontare la depressione non è sufficiente “ganbare”, anzi, rischia di essere controproducente. L’ultima parte della storia, però, si fa in fin dei conti risucchiare nelle spire della morale imperante del “darsi da fare”, del “risollevarsi”. Così, anche la depressione diventa oggetto di un’attività (economica), di una riscossa sociale e in ultima istanza di successo economico. 
Film basato sulla recitazione, deve la sua riuscita alle prestazioni di Miyazaki Aoi e Sakai Masato, due fra i pochi attori giapponesi giovani che calcano le scene perché sanno recitare professionalmente e non perché siano “carini” o appartengano a qualche gruppo musicale del momento.
PS. La sigla “S.O.” del titolo inglese sta per “significant other”. [Franco Picollo]








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