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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Aruitemo aruitemo (歩いても 歩いても, Still Walking)

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine

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Aruitemo aruitemo (歩いても歩いても, Still Walking). Regia, soggetto e sceneggiatura: Koreeda Hirokazu. Fotografia: Yamasaki Yutaka. Luci: Oshita Eiji. Scenografia: Isomi Toshihiro, Mitsumatsu Keiko. Costumi: Kurosawa Kazuko. Montaggio: Koreeda Hirokazu. Suono: Tsurumaki Yutaka, Ōtake Shūji. Musiche: Gontiti. Interpreti e personaggi: Abe Hiroshi (Yokoyama Ryota), Natsukawa Yui (Yokoyama Yukari), You (Yokoyama Chinami), Takahashi Kazuya (Kataoka Nobuo), Tanaka Shōhei (Yokoyama Atsushi), Kiki Kirin (Yokoyama Toshiko), Harada Yoshio (Yokoyama Kyōhei), Terajima Susumu (uomo che porta il sushi). Produzione: Katō Yoshihiro, Kōno Satoshi, Taguchi Hijiri, Yasuda Masahiro per Engine Film Inc., Bandai Visual Co. Ltd., TV Man Union Inc., Eisei Gekijo Co. Ltd., Cine Qua Non. Durata: 114’. Uscita nelle sale giapponesi: 28 giugno 2008.
Mar de Plata Film festival 2008: Migliore Film. Premio della giuria ACCA. Asian Film Awards 2009: Miglior Regista. Migliore attrice non protagonista (Kiki Kirin). Blue Ribbon Awards 2009. Migliore regista. Hochi Film Awards: Migliore attrice non protagonista (Kiki Kirin). Kinema Junpō Awards 2009: Migliore attrice non protagonista (Kiki Kirin). Mainichi Film Concours: Migliore attore (Abe Hiroshi). Chlotrudis Awards 2010: Migliore regista.
Altri festival: Copenaghen, Glasgow, Helsinki, Hong Kong, Istanbul, London, Los Angeles, New York, San Sebastian, San Francisco, Taipei, Tokyo, Toronto, Warsaw, Thessaloniki, Seattle, Torino, Tribeca.
La famiglia Yokoyama si riunisce una volta all’anno per commemorare l’anniversario della morte del primogenito Junpei, annegato quindici anni prima mentre salvava un estraneo, caduto in mare. Alla riunione, che si tiene nella casa degli anziani genitori, partecipano, insieme a questi ultimi, Ryota, l’altro figlio maschio, che fa il restauratore e si è di recente sposato con una vedova, Yukari, madre di Atsushi, e Chinami, la sorella, con il marito e i due figli. Il “ritorno a casa” è occasione per ricordare i momenti passati insieme, ma anche per confrontarsi con il dolore, mai superato, per la perdita dell’amato Junpei, che avrebbe dovuto seguire le orme del padre e diventare anch’egli medico. I due fratelli superstiti non sembrano reggere il confronto: Ryota non si è dimostrato interessato ad intraprendere la carriera di medico, con disappunto del padre, e Chinami è in condizioni economiche tali per cui spera che la madre la inviti, insieme a marito e figli, a vivere nella casa di famiglia. Nel fine settimana che trascorrono insieme, durante il quale si recheranno anche alla tomba del fratello e riceveranno la visita del goffo ragazzo che Junpei aveva salvato, sono dissepolti antichi rancori (come quello della madre nei confronti del marito, che l’aveva tradita molti anni prima), emergono disagi generazionali, desideri non realizzati. Su tutto, l’emozione nostalgica dell’inesorabile tempo che passa. Anni dopo, quando ormai i genitori sono deceduti, Ryota si reca in visita alle tombe di famiglia, insieme alla moglie, ad Atsushi e alla figlia avuta dalla stessa Yukari.
StillWalking è un’opera in parte autobiografica: lo stesso Koreeda ammette di aver trovato l’ispirazione nel sentimento di rimpianto verso i propri genitori, deceduti entrambi negli anni immediatamente precedenti al film, e nel senso di colpa per averli a lungo trascurati.
L’opera si concentra in particolare sulla figura della madre. È lei che appare fin dalle prime inquadrature, in cucina, con la figlia, impegnate entrambe nei preparativi per il pranzo, avvolte da quel “brusìo della vita quotidiana” rappresentato dai loro stessi dialoghi su tutto e su nulla, sulla vita.
La famiglia che, a poco a poco, le si stringe attorno appare, fin dalle prime battute, solo apparentemente serena, quando, in effetti, è sostanzialmente minata dall’interno da tanti disagi irrisolti, rancori e dolori non sopiti. Koreeda sceglie le forme dello shoshimingeki, il cosiddetto dramma familiare, il genere dei grandi maestri come Ozu Yasujirō e Naruse Mikio, per descrivere questo paesaggio umano composto da legami intensi, ma tempestato allo stesso tempo di disillusioni e vuoti dell’anima.
La famiglia Yokoyama si riunisce attorno ad un’assenza, archetipo ricorrente della cinematografia di Koreeda. In questo caso il grande assente è il fratello deceduto, evocato in ogni modo dal regista: in una delle sequenze della parte iniziale del film è ripresa con insistenza la fotografia incorniciata del giovane, posta sul piccolo altare all’interno dell’abitazione, mentre le ombre dei familiari sulla superficie di vetro inclusa nell’inquadratura creano d’attorno un movimento di riflessi. Rimandi a Junpei sono presenti durante tutto il film: la sua tomba, che Ryota andrà a visitare prima con la madre e poi, ancora, anni dopo, successivamente alla morte dei genitori; la spiaggia dalla quale si era gettato in mare, prima di annegare; la farfalla gialla che la madre, quasi in delirio, interpreta come un segno di reincarnazione del figlio; il goffo ospite che viene a fare visita il giorno della commemorazione e che altri non è se non il ragazzo salvato da Junpei, indegno sostituto, agli occhi del gruppo familiare, del promettente figlio venuto loro a mancare. Still Walking è un film, sono le parole del regista «in cui solo il “prima” e il “dopo” degli eventi drammatici sono rivelati, che si concentra sulle premonizioni e sulle rifrazioni, vale a dire il luogo dove può essere ritrovata l’essenza stessa della vita».
In quest’opera Koreeda celebra ed allo stesso tempo attiva il meccanismo della memoria. Il ruolo centrale che questo tema assume nel film è evidente già nei diversi momenti citati che evocano il ricordo di Junpei. Nelle sue prime immagini c’è l’insistito piano sul vuoto lasciato da un cassetto mancante in una cassettiera: quello che conteneva le foto di famiglia e quei ricordi che lo spettatore può conoscere solo attraverso le parole della madre.  La famiglia assume così il ruolo di depositaria della memoria e dell’identità affettiva dei suoi componenti.
Ma vi è di più. La popolare canzone «Blue Light Yokohama» rinvia, nel contesto narrativo del film, al tradimento del padre, ma nello stesso tempo, almeno per lo spettatore giapponese che ben la conosce, può attivare diversi ricordi individuali legati al proprio personale passato, quello degli anni in cui questa canzone era in voga.
Si è accennato a quanto l’opera tutta di Koreeda, e questo film in particolare, richiami il lavoro di grandi maestri del cinema nipponico, come Ozu e Naruse. La sequenza di apertura, con le due donne che preparano daikone carote non può non essere considerata un omaggio a Ozu, il cui ultimo film, che la morte improvvisa gli impedì di realizzare, avrebbe proprio dovuto intitolarsi Daikon to ninjin. Anche la composizione dell’immagine “a riquadri”, così come l’uso della profondità di campo o dei piani di insieme sono da ricollegare al maestro del cinema classico; cosi come, per fare qualche altro esempio, la ripresa insistita di un vaso di fiori, apparentemente scollegata dal movimento narrativo, non può non ricordare quella analoga di Late Spring (Banshun, 1949); così come la composizione dell’immagine che racchiude Ryota e il padre sulla spiaggia, uno di fianco all’altro, ripropone lo stesso schema utilizzato da Ozu in Tokyo Story(Tōkyō monogatari, 1953). Molti anche i riferimenti a Naruse Mikio, ai suoi personaggi dall’angoscia più tagliente e meno “aggraziata” di quelli di Ozu.
Pur nel rigore di composizione di Still Walking, il regista non sembra voler lasciare da parte il suo passato da documentarista: in tanti passaggi, soprattutto nelle riprese delle donne e dei loro dialoghi “in libertà”, che compongono una sorta di “tessuto sonoro” del film, è quello della naturalezza spontanea il registro scelto.
Still Walking è, in conclusione, una nostalgica riflessione sul trascorrere inesorabile del tempo. Il tempo scorre e la morte si fa sempre più presente. La farfalla gialla che la madre, come impazzita, rincorre attraverso la cucina, è la rappresentazione visiva del figlio morto, ma è anche un accenno alla vicina fine dell’anziana donna. La morte è l’indicibile e Koreeda, come negli altri suoi film, non ce la mostra. Anni dopo che i due genitori sono scomparsi, Ryota e famiglia tornano al paese natale  e fanno visita al cimitero. Sulla strada una farfalla gialla li insegue e allora Ryota spiega ai figli che le farfalle nascono bianche, ma quelle che superano l’inverno tornano tinte di giallo: è il racconto che aveva sentito dalla madre, e così facendo diviene egli stesso il riflesso della donna. Ciò che ci fa andare avanti è pensare che i nostri morti sono un po’ dentro ognuno di noi, che qualcosa di loro si trasmette e basta un battito d’ali di farfalla per riattivarne il ricordo vivo. E allora sì, con malinconia, ma anche con speranza, riusciamo a continuare a camminare, ancora e ancora. [Claudia Bertolè]
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