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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Joze to tora to sakanatachi (ジョゼと虎と魚たち, Josee, the Tiger and the Fish)

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine
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Joze to tora to sakanatachi (ジョゼと虎と魚たち, Josee, the Tiger and the Fish). Regia:  Inudō Isshin. Soggetto: dal romanzo di Tanabe Seiko. Sceneggiatura: Watanabe Aya. Fotografia (colore): Tsutai Takahiro. Scenografia: Saitō Iwao. Montaggio: Ueno Sōichi. Musica: Quruli. Interpreti e personaggi: Tsumabuki Satoshi (Tsuneo), Ikewaki Chizuru (Kumiko/Joze), Arai Hirofumi (Kōji), Ueno Juri (Kanae), Shinya Eiko (la nonna di Kumiko), Eguchi Noriko (Noriko), Morishita Yoshiyuki (il pervertito), Fujisawa Daigo (Ryūji), Fujiwara Kazuhiro (Kanai Haruki), Kageyama Tai (il proprietario della sala di mahjong), Ookura Kōji (il giovane nella sala di mahjong), Mari Annu (la donna nella sala di mahjong), Tanaka Hiroyuki (l’uomo nella sala di mahjong), Arakawa Yoshiyoshi (il commesso della libreria). Produzione: Kubota Osamu, Ogawa Shinji, Miki Hiroaki per Asmik Ace Entertainment, IMJ Entertainment, Kansai Telecasting Corporation, SSM, Hakuhodo. Durata: 116′. Uscita nelle sale giapponesi: 13 dicembre 2003.
Hochi Film Award 2004, Kinema Junpō Award 2004, Vladivostock Film Festival, Takasaki Film Festival: Miglior attore. Japanese Professional Movie Award 2004: Miglior attrice. Premio del Ministero dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienze e Tecnologia 2003: Miglior regista emergente.Yokohama Film Festival 2005: Miglior nuovo talento a Ueno Juri.
Presentato in anteprima mondiale al Chicago International Film Festival (ottobre 2003). Altri festival: Francoforte (Nippon Connection), Japanese Film Festival in Australia, New York (Asian Film ), Philadelphia, Puchon, San Diego, Singapore (Japanese Film Festival),Udine (Far East Film Festival) e altri.
Tsuneo, studente universitario che lavora part time presso una sala di mahjong, una mattina si imbatte per caso in una carrozzina che rovina giù da sola per una discesa, rivelando un inaspettato contenuto: una ragazza paraplegica ventenne, Kumiko. La nonna, per nascondere ai vicini la condizione della nipote, la porta in giro lì dentro solo all’alba e nascosta da una coperta. Aiutate le due donne a tornare alla baracca di periferia dove abitano, Tsuneo viene invitato a restare per colazione e scopre che la ragazza, sebbene un po’ scontrosa e brusca nei modi, è una fantastica cuoca, motivo che lo spinge a tornare in visita. A poco a poco viene incuriosito ed affascinato dalla personalità vitale e intelligente di Kumiko, che si fa chiamare con l’elegante ed esotico nome di Josée, come un personaggio di uno dei numerosi libri che la nonna raccoglie dalla spazzatura e che lei divora, nella sua insaziabile sete di conoscenza. Ma nella vita di Tsuneo ci sono altre ragazze, con cui lui fa sesso senza impegnarsi seriamente in un rapporto. La sua ultima conquista è Kanae: carina, femminile, aspirante assistente sociale. Scoperta la sua esistenza, Kumiko allontana Tsuneo, e anche la nonna, che disapprova la loro amicizia, gli chiede di non tornare. Tsuneo riprende la sua vita di studente spensierato, fatta di serate a bere nei locali e chiacchiere frivole con gli amici; ma quando viene a sapere che la vecchia è morta, non può fare a meno di correre da Josée e restare a vivere con lei, lasciando Kanae.
Passa un anno. La coppia si sta recando a casa dei genitori di lui, ma durante il viaggio Tsuneo si rende conto veramente di cosa voglia dire farsi carico di una persona handicappata e ci ripensa; Josée si accorge che è l’inizio della fine del loro rapporto e, prima che questa arrivi, come estrema prova d’amore vuole regalare a lui la realizzazione della sua fantasia sessuale più spinta. La separazione è serena, senza tragedie. Lui torna da Kanae, consapevole ma impotente davanti alla propria vigliaccheria; lei torna alla sua solitudine quotidiana, più autonoma e meno ingenua di prima, ma in fondo rimasta sempre la stessa.
Commedia, film sentimentale, melodramma: Josee, the Tiger and the Fish sfugge in maniera sorprendente ed originale ad ogni definizione di genere, dosando con equilibrio elementi di ognuno di essi ma in modo decisamente non convenzionale e sfuggendo ad ogni tentazione sentimentalistica o moralistica.
Il film si apre con le foto del viaggio dei due protagonisti, come commenta la voce fuori campo. Non le classiche foto ricordo, con i sorrisi congelati; ma sguardi da punti di vista insoliti, impressioni soggettive di momenti apparentemente insignificanti, ma rivelatori. Dal commento si intuisce che si tratta di una storia finita, lontana, che suscita nostalgia. Priva però sia di melensaggine che di amarezza: quel sorriso con cui si contemplano ricordi, a volte strampalati, di un’età dell’innocenza che è passata e svanita senza drammi, con naturalezza.
Questa resterà la cifra stilistica di tutto il film. Un tema, quello della malattia invalidante, che tradizionalmente viene ampiamente sfruttato per dare risvolti patetici alla narrazione, qui è trattato in modo insolito e inaspettato da una regia che non indulge né nel facile sentimentalismo né nel crudo realismo – neppure quando si trova davanti lo squallido ghetto dei diseredati dove vivono Kumiko e la nonna, e l’umanità bizzarra che lo popola, sempre ritratta con singolare humour.
La storia d’amore è presente con lo splendore e l’incoscienza della giovinezza, ma senza ingenuo romanticismo. Non ci sarà il lieto fine consolatorio dove il cuore trionfa sulla disabilità fisica e sui pregiudizi sociali: la protagonista è ben consapevole che i sentimenti degli uomini sono effimeri, e che la solitudine è una condizione ineluttabile; per cui accetta questa realtà senza nessuna autocommiserazione. C’è un’affinità elettiva fra Kumiko e la disillusa lucidità della Sagan (autrice del suo libro preferito), ma Kumiko ha poca esperienza della vita, è un essere che si nutre di libri, per cui non può che immedesimarsi in uno dei personaggi della scrittrice, la disincantata e sfuggente Josée, e costruirsi intorno pezzo per pezzo – con i vecchi oggetti e la conoscenza che gli altri buttano via – un mondo fantastico e stravagante racchiuso in un angolo o dentro un armadio. Non che il mondo reale sia pronto ad accoglierla, affetto com’è dai pregiudizi e da falsi buonismi. Né Josée chiede questo: cresciuta prima in orfanotrofio e poi da una nonna che non fa che ripeterle quanto è guasta, diversa dal normale, si è dotata di una corazza difficile da penetrare. Quando Tsuneo vi riesce, per Josée è il momento di uscire da quella realtà fittizia e affrontare a viso aperto le proprie paure, rappresentate dalla tigre che insieme a lui va a vedere allo zoo.
La tappa successiva è, passata l’euforia dell’innamoramento, affrontare la fatica quotidiana. Ma a Tsuneo – tipico ventenne del nostro tempo: non un mostro di insensibilità, ma semplicemente privo di grandi ideali, eppure capace di essere curioso e di lasciarsi coinvolgere, ma portato dalla sua natura a seguire prima o poi la corrente e scegliere la via più accomodante – manca la forza di volontà per lottare contro ciò che non si può cambiare, e su questo scoglio si infrange l’idillio. Josée avrebbe voluto visitare un acquario vero, trovare posto nel mondo reale e nuotare fra i pesci come sinuosa murena, ma il suo destino è quello di una conchiglia vuota che tornerà nel fondo della sua solitudine, dopo essere riuscita a vedere solo i pesci finti proiettati dalla lampada di un alberghetto a ore.
Nonostante la fine della relazione fosse preannunciata, giunge con una modalità inattesa e non banale. La storia non assume mai toni tragici e non mira a forzare commozione nello spettatore, mantenendo sempre un tono da commedia leggero ma non superficiale. Contribuisce all’equilibrio del film anche la musica, mai invadente, molto discreta e ben dosata. Quando il melodramma sembra prevalere, la regia è capace di cogliere alla sprovvista lo spettatore con sprazzi di ironia fulminante.
Il mondo di Josée è buffo e pieno di curiosità prima ancora che solitario ed amaro. Gli oggetti sembrano provenire da un’altra epoca – come l’anacronistica ed enorme carrozzina – o sono souvenir evocatori di altri luoghi, e nella luce soffusa dell’angolo di Josée assumono un’aura magica, favolistica. Anche i personaggi che si muovono attorno a questo mondo sono degli spostati più strambi che reietti. Come il teppista Kōji, che anche se è diventato adulto, fuma e lavora in un’officina, non ha smesso di scalciare come quand’era bambino, incapace di accettare ed esprimere i propri sentimenti.
Josee, the Tiger and the Fish rivela la bellezza e la ricchezza che si nasconde dietro la squallida facciata della vita quotidiana, ma anche l’inadeguatezza dell’essere umano ad aderire a questa bellezza, scegliendo la via di una normalità più scialba ma più facile da riconoscere e da vivere. [Nadia Faienza]
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