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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Distance

distance-2229624Distance Regia, soggetto, sceneggiatura e montaggio:  Koreeda Hirokazu.  Fotografia: Yamazaki Yutaka. Scenografia/art direction: Isomi Toshihiro. Suono: Mori Eiji. Interpreti e personaggi: Asano Tadanobu (Sakata Koichi), Arata (Mizuhara Atsushi), Iseya Yūsuke (Enoki Masaru), Terajima Susumu (Kai Minoru), Natsukawa Yui  (Yamamoto Kiyoka).  Produzione: TV Man Union, Engine Film, Cine Racket, Imagica production. Durata: 132’. Anno: 2001.

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2001.

La vicenda prende spunto da un fatto realmente accaduto: l’attentato con il gas sarin alla metropolitana di Tokyo perpetrato da alcuni componenti di una setta religiosa estremista, il culto di Aum Shinrikyo, il 20 marzo 1995. La storia narrata nel film è quella dei familiari degli attentatori che ogni anno si recano sulle rive di un lago in mezzo al bosco, per commemorare il giorno del suicidio rituale che ha visto coinvolti i loro cari. Minoru, un impiegato, Atsushi, un giovane che vende fiori, Masaru, un ragazzo estroverso che fa l’istruttore di nuoto, Kiyoka, un’insegnate, dopo aver trascorso la giornata insieme, vengono purtroppo a scoprire che l’auto con la quale erano arrivati è stata rubata. Così come la motocicletta di Koichi, un ragazzo che si rivela essere uno dei membri sopravvissuti della setta. Con lui troveranno riparo nella casa che era la sede del culto e trascorreranno insieme la notte dibattendosi tra i ricordi e il dolore della perdita delle persone care, evocati a forza dal luogo e dalla situazione. Al mattino riusciranno a ripartire per la città e ognuno tornerà alla propria vita. Rimarrà solo un mistero: Atsushi, che ha dichiarato di essere il fratello di una delle componenti della setta, forse non è chi sostiene di essere, ed anche le sue visite in ospedale ad un uomo anziano moribondo, con il quale non risulta avere legami di parentela, così come il rogo che, nella scena finale, appicca al pontile nel lago evocando il “padre”, non fanno che avvalorare l’arcano.

Distance è un film enigmatico ed affascinante, con il quale nel 2001 Koreeda sembra voler chiudere, dopo Maboroshi e After Life, quella che a tutti gli effetti appare come una trilogia sui temi che gli sono cari: la morte, la memoria, la natura.
Il film è un vero percorso verso e dentro la memoria: gli oggetti, ripresi puntualmente fin dalle prime inquadrature (come le scarpe del marito di Kiyoka, nell’ingresso della loro abitazione), diventano metafora del tempo, evocazione dei defunti, frammenti di passato. Nella casa isolata in un bosco che la contiene, e allo stesso tempo che rappresenta visivamente il travaglio interiore degli uomini, e rimanda ad un che di soprannaturale ed altamente spirituale – quasi la rappresentazione di una mitologica terra dei morti -, in quel luogo prende forma una memoria collettiva. I ricordi e le contraddizioni si compongono in una inquietudine profonda, e il loro dibattersi allontana l’effetto risolutivo che avrebbe il raggiungere una qualche verità, anche se non assoluta, che qui non è dato neppure di ipotizzare. Koreeda “tiene a distanza”, sottrae, lascia vuoti riempiti solo dai rumori del bosco, in quel cinema dell’assenza che raggiunge a mio parere in questo film un culmine quasi fisicamente doloroso per lo spettatore.
Quasi horror, si è detto[1], il modo del regista di mettere in discussione la percezione del reale, con lo sguardo che si carica di distorsione mentre osserva esseri e ambienti che recano i segni di ciò che li trascende.
I ricordi che i quattro parenti affrontano sono rappresentati attraverso una serie di flashback, che si inseriscono nella narrazione, e che ripropongono i momenti in cui hanno dovuto affrontare il distacco voluto dai loro cari, o gli interrogatori della polizia nel corso delle indagini a seguito dell’attentato. Spesso si tratta di piani fissi frontali (come quelli degli interrogatori della polizia), a volte di piani fissi che sembrano soggettive (come quello di Kiyoka con il marito sul balcone di casa, ripresi dall’interno dell’abitazione), oppure anche riprese con camera a mano che segue i personaggi (come alcune scene che rappresentano il ricordo di Koichi dei momenti trascorsi sul pontile con la sorella di Atsushi).
Il film è tragicamente concentrato sul tema delle sette e del loro rapporto con la società. Murakami Haruki nel suo Underground – Racconto a più voci dell’attentato alla metropolitana di Tokyo[2], del 2003, pone l’accento sul rischio che corre la società nel relegare episodi come questo nei fatti di cronaca nera, rendendo più facile la presa di distanza ed il conseguente superamento del dolore causato da morti inspiegabili, ma senza cogliere la realtà del fenomeno. Che è anche quello – nel caso della setta Aum fu così – di persone apparentemente “normali”, alla ricerca di un sistema alternativo, in ipotesi più spirituale,  rispetto al modello proposto dalla società nella quale vivono. Koreeda mette in scena proprio la complessità e l’incoerenza di eventi correlati al modo di essere dell’intera società, che hanno radici profonde nei mali della società stessa e per i quali è impossibile definire con certezza responsabilità che sembrano ambiguamente apparire su entrambi i fronti, quello delle vittime e quello dei carnefici. 
Koreeda stesso ricorda[3] come all’inizio il film avrebbe dovuto essere un semplice road movie con due personaggi opposti, uno passivo (come Atsushi) e uno più attivo (come Masaru). Nel frattempo aveva però cominciato ad interessarsi sempre più alla storia del culto Aum e alla vicenda dell’attentato alla metropolitana di Tokyo. In tale contesto aveva delineato le biografie dei personaggi, lasciando poi molta libertà di improvvisazione agli attori. In effetti Distance si pone in bilico tra documentario e fiction: secondo alcuni[4]si alternerebbe un ritmo “naturale”, o del presente, composto di riprese per lo più realizzate con camera a mano, da cinéma vérité, ad un ritmo “urbano”, o del passato, caratterizzato per lo più da riprese frontali, con piani fissi, come nei numerosi flashback. Lunghi piani sequenza, nel silenzio dei personaggi, creano poi “spazi” riempiti dai suoni della natura che si pongono come pause di riflessione. Lo spazio all’interno della casa è spesso costruito visivamente in modo destabilizzante: con riprese dall’alto o con prospettive tali che i vari personaggi hanno difficoltà ad essere ricompresi nella stessa inquadratura, quasi a ribadire la distanza fra loro.
Il film è punteggiato da rimandi alle opere precedenti. Una prima sequenza interessante, tra le tante, è quella nella quale due dei personaggi, Atsushi e Masaru, nel loro viaggio verso il luogo dell’appuntamento, si fermano sul bordo di una linea ferroviaria. Una serie di inquadrature li riprende mentre dietro di loro scorre un treno, che ricorda indubbiamente il suicidio/incidente di Ikuo, in Maboroshi; in una scena successiva i due sono ripresi mentre camminano distrattamente lungo i binari, attratti dai fiori (gigli, simbolo della setta) che crescono in alto sul muro a lato degli stessi. I gigli distraggono i ragazzi come un miraggio (così come un misterioso bagliore lontano poteva forse aver attratto Ikuo in Maboroshi), per raggiungere il quale non esitano a salire sul muro, e il loro “miraggio” è rappresentato proprio dal simbolo della setta.
Un altro interessante momento è quello in cui, dopo la notte trascorsa nella casa in mezzo al bosco, i cinque se ne vanno e, sulla via del ritorno, si fermano sulle rive del lago. Il regista insiste con una lunga ripresa a bordo dell’acqua sulla quale è sospeso uno strato di nebbia, e dalla quale affiorano scogli che il controluce rende scuri. Mi sembra che la sequenza rimandi ad una di quelle finali di Maboroshi, nella quale Yumiko segue una processione funeraria fin sugli scogli del lungomare e proprio lì, con l’aiuto delle parole del marito, pare che riesca ad accettare l’inspiegabile morte del primo marito e quindi a superare il dolore per poter riprendere a vivere. Allo stesso modo, l’alba sul lago di Distancesembra sancire l’avvenuto confronto dei personaggi con il ricordo dei propri morti e con il dolore dell’assenza.
Nel finale l’enigma/Atsushi, il personaggio che più degli altri nel corso della storia suscita dubbi circa la propria identità, torna sul pontile del lago e gli dà fuoco evocando una altrettanto misteriosa figura di “padre” (che potrebbe rimandare al leader della setta, mai mostrato nel film). Che Atsushi sia personaggio ambiguo lo si evince anche dalle modalità di ripresa dei flashback. Quelli che riprendono i momenti condivisi dai personaggi con i loro parenti sono realizzati con camera fissa, dando luogo a “quadri” in cui predomina l’immobilità; per contro quelli che riguardano i momenti dei soli componenti della setta, Koichi e la sorella di Atsushi per esempio, sono effettuati con camera a mano che segue ed avvolge i personaggi. Il flashback che propone Atsushi e la sorella al fiume dovrebbe, secondo questo ipotetico schema, rientrare nella prima modalità: invece è realizzato in stile documentaristico, con la macchina da presa che segue i personaggi. In sostanza Atsushi viene ripreso come fosse anche lui un seguace della setta. 
Non c’è modo comunque di risolvere l’arcano, neppure “recuperando” alla memoria indizi disseminati nel corso del film: la struttura di legno avvolta dalle fiamme ricorda senza dubbio la pira funeraria in riva al mare di Maboroshi, come si è detto,il momento di consapevolezza e accettazione da parte della protagonista dell’ineluttabilità della morte. D’altra parte, nel virare chiaramente verso l’incompreso e il misterioso, non fa che aumentare nello spettatore il senso di irrisolto.
Ogni cosa è (perfettamente) assente nel film di Koreeda: ogni possibile umana soluzione distante.   [Claudia Bertolè]




[1]Giona A. Nazzaro, Distance di Koreeda Hirokazu, in «Cineforum» n.406 (Luglio 2001), p.52
[2] Haruki Murakami, Underground – Racconto a più voci dell’attentato alla metropolitana di Tokyo, Einaudi, Torino, 2003, p. 271 ss.
[3] Robin Gatto, Kore-eda à distance, intervista di «FilmFestivals», 2001, in www.filmfestivals.com/cgi-bin/cannes
[4]Charlotte Garson, Distance de Hirokazu Kore-eda, in «Cahiers du Cinéma», n.566 (Mar.2002), p. 87 ; nello stesso senso Derek Elley, Distance, in «Variety», vol. CCCLXXXII n.13 (May 14, 2001), p.24.
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