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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Sakura namiki no mankai no shita ni (桜並木の満開の下, Cold Bloom)


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Sakura namiki no mankai no shita ni (桜並木の満開の下に, Cold Bloom). Regia e montaggio: Funahashi Atsushi. Sceneggiatura: Funahashi Atsushi, Murakoshi Shigeru. Fotografia: Furuya Kōichi. Musica: Janek Duszyński. Suono: Takata Shin’ya. Interpreti e personaggi: Usuda Asami (Shiori), Miura Takahiro (Takumi), Takahashi Yō (Kenji). Produzione: Ichiyama Shōzo per Office Kitano Inc. Durata 120’. Prima proiezione pubblica: Busan International Film Festival: 5 ottobre 2012.
Punteggio ★★★

Ambientato nel dopo Fukushima, un periodo destinato a costituirsi come un momento chiave del cinema giapponese contemporaneo, Cold Bloom narra la storia di Shiori, una giovane operaia, il cui marito e compagno di officina, Kenji, muore in un incidente di lavoro, a causa dell’involontaria incuria di un altro operaio, Takumi. È proprio sul rapporto tra Shiori e Takumi che il film costruisce l’asse principale della sua narrazione, un rapporto che verte sul tema del perdono, prima negato e poi, nell’epilogo del film, accordato (le prime parole che Shiori rivolge a Takumi sono: «Potevi fare attenzione. Non ti perdono», le ultime, invece, «Ho deciso di perdonarti»). Fra questi due momenti c’è il lento evolversi della protagonista, nel corso di un lungo processo di incertezza ed esitazione, proprio quell’esitazione di cui Kenji, all’inizio del film, sosteneva essere simbolo il fiore di ciliegio (sì ancora il ciliegio!). Ma il rapporto fra Shiori e Takumi implica anche qualcosa in più del semplice perdono, poiché i due finiscono con l’innamorarsi l’uno dell’altro. Un sentimento, questo, che tuttavia non sboccerà, come i fiori di ciliegio (ci risiamo!) in una storia d’amore, poiché, come affermerà la stessa Shiori, dopo una notte trascorsa col giovane in un ryōkan: «Nessuno ci perdonerebbe. Tu se il responsabile ed io la vittima. Questa linea non può  essere superata. Non posso più vederti». Nel modulare la relazione fra Shiori e Takumi, il film procede con quella “lieve intensità” propria di certo cinema giapponese, disegnando il personaggio di Takumi come un possibile doppio dello stesso Kenji, quasi una sua reincarnazione (Takumi come Kenji riesce grazie alla propria intraprendenza a trovare un’importante commessa alla propria ditta, Takumi, come aveva fatto Kenji in una precedente scena onirica del film, copre sulla spiaggia le spalle di Shiori con la propria giacca, in  un rassicurante gesto di accudimento e protezione). Non mancano poi momenti apertamente drammatici, come quando Shiori batte più volte, con la mano, la busta col denaro (una consuetudine giapponese, a mo’ di risarcimento economico), che a testa china Takumi le sporge, senza riuscire a lungo a farla cadere a terra, mentre urla: «Ridammi Kenji». Bene il film mette in scena i sentimenti di Shiori, non solo le sue esitazioni verso Takumi, ma anche le difficoltà del ritorno a una vita normale – e di lavoro – dopo la tragica scomparsa del marito, come efficacemente esprime la ripetuta scena del lento e tormentato scendere le scale che dallo spogliatoio conducono alla sala macchine dell’officina presso cui la donna lavora.
Cold Bloom è però anche un film operaio e sul mondo del lavoro, a partire dalla bella sequenza iniziale sulla vita di fabbrica. Un film che registra anche i cambiamenti della società giapponese, in particolare attraverso la figura di due giovani operai un po’ attaccabrighe, molto lontani da quel modello di dedizione al lavoro su cui il Giappone si è edificato e ha costruito la propria rinascita nel secondo dopoguerra («Che cosa sta succedendo ai Giapponesi?», si chiede un operaio in una delle sequenze iniziali). Sul film si affacciano anche i fantasmi della crisi – aggravata, com’è esplicitamente ricordato, dal terremoto di Fukushima –  che portano la piccola fabbrica di Shiori sull’orlo del fallimento. Le difficoltà che così si creano, generano a loro a volta degli atteggiamenti di persecuzione e discriminazione “dal basso”, cioè da parte degli stessi operai, soprattutto nei confronti di Takumi, che con l’incidente da lui provocato ha privato la fabbrica di un’importante commessa, e dei lavoratori stranieri («i primi che dovrebbero essere licenziati» secondo uno dei due attaccabrighe prima menzionati). Ma non mancano neanche osservazioni critiche verso l’alto, come accade quando un operaio fa notare a Shiori come i bidoni che hanno schiacciato il corpo di Kenji fossero posizionati male, fatto che qualcuno aveva segnalato, senza che però la direzione intervenisse.  Sono proprio questi piccoli fatti di “contorno”, a fare di Cold Bloom un film che va al di là del suo intreccio principale, per disegnare un quadro più ricco e articolato del Giappone della crisi e del dopo Fukushima. [Dario Tomasi – Busan International Film Festival]
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