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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Yureru (ゆれる, Sway)

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine

yure-4052048Yureru (ゆれる, Sway). Regia e sceneggiatura: Nishikawa Miwa. Fotografia: Takase Hiroshi. Montaggio: Miyajima Ryuji. Sonoro: Shiratori Mitsugu. Musica: Cauliflowers. Interpreti: Odagiri Jo, Kagawa Teruyuki, Ibu Masatō, Arai Hirofumi, Maki Yōko, Kanie Keizō, Kimura Yūichi, Taguchi Tomorowo, Taki Pierre.  Produzione: Kumagai Kiichi per TV Man Union, Engine Film, Bandai Visual Company, Eisei Gekijo Company. Durata: 120’. Uscita nelle sale giapponesi: 8 luglio 2006.

Hayakawa Takeru, un giovane fotografo di successo, torna al paese natio per il funerale della madre. Qui riscopre una realtà totalmente opposta a quella frenetica della metropoli dove vive. Si scontra così col padre oltre che con un sistema di vita e una mentalità da cui è ormai lontano. Riscopre però la compagnia del fratello Minoru e dell’amica d’infanzia Chieko, ma nel corso di una fatidica passeggiata nel bosco, la giovane cade da un ponte e muore.
Con la mai sopita gelosia di Minoru per Takeru, un’ombra si allunga sulle responsabilità di Minoru nella morte di Chieko e coinvolge i due fratelli in un doloroso e delicato processo che cambierà per sempre le loro vite.
Nishikawa Miwa, giovane cineasta di Hiroshima allieva del più noto Koreeda Hirokazu, e già suo aiuto regista nel toccante Distance, realizza con questa seconda prova registica un lavoro principalmente incentrato sulla memoria e sulla responsabilità delle azioni umane, oltre che sulla crescita interiore del singolo individuo.
Sono temi che affondano le loro radici nella cultura giapponese: memoria come intrinseco rispetto per usi e costumi di una cultura  antica che mantiene vive (almeno nelle realtà più rurali) usanze ed abitudini di primo acchito obsolete, ma anche ricordo di sciagure belliche o calamità naturali che hanno spesso tenuto in scacco questo paese e il suo popolo.
È la dimensione del ricordo che aleggia, inizialmente, attorno a Takeru. Questi è infatti fin da subito proiettato nelle sensazioni di un tempo a causa di un diverbio con il padre, proprio durante il funerale della madre. L’avvenimento porta l’attenzione dello spettatore sulla memoria del protagonista e sul senso di grettezza mentale che gli trasmettevano sia il paese d’origine sia il rapporto col padre. Da qui la fuga verso una realtà lontana, più ancorata al presente che al passato, più stimolante, ma allo stesso tempo più superficiale. Il valore della vita pare infatti avere, sulle prime, un peso specifico differente per un cittadino come Takeru, fin dall’attimo in cui la macchina da presa lo inquadra appena dopo l’incidente di Chieko: stupefatto, ma pronto a tornare inespressivo ed impassibile. La questione della responsabilità entra dunque in gioco subito dopo l’incidente al fiume, compromettendo e stravolgendo, in primis, i due fratelli.
Su Minoru aleggia, pesante ed asfissiante, il probabile fardello della morte di Chieko, mentre su Takeru pesa l’essere testimone dell’incidente, ma anche il non voler distruggere la vita di suo fratello  durante il processo.
Il momento della morte della giovane è raccontato, dopo l’alterco sul ponte con Minoru, con quattro specifiche inquadrature: degli alberi mossi dal vento; il volto di Takeru, dal basso, e dei suoi occhi pieni di terrore; un closeup delle tumultuose acque del fiume; e infine con Minoru carponi sul ponticello che si accinge a fissare disperato verso il vuoto sotto di lui. Non vediamo la ragazza cadere, né capiamo perché questo succede. Sappiamo solo che il torrente l’ha inghiottita e che Takeru ha visto tutto.
Lo sviluppo della storia ci darà sempre più indizi per pensare a una responsabilità del fratello maggiore, anche perché il momento del litigio sul ponte lascia trasparire una palese insofferenza di Chieko nei suoi confronti e questi pare rendersene conto, inquadrato con uno sguardo di delusione misto a collera.
La gelosia di Minoru per Takeru giunge dunque a estreme conseguenze nel momento in cui il primo si rende conto che la ragazza, dopo anni di corteggiamenti, continua a preferirgli il più giovane.
Nel momento in cui Takeru decide di far finta di non aver visto nulla, anche nei confronti degli inquirenti, il rapporto con il fratello e con tutta la comunità del paese natio si incrinerà. La verità assumerà contorni sempre meno netti e lineari e, per il brillante fotografo, si affaccerà il baratro di una crisi interiore a causa della presunta verità non detta. Il padre stesso dei due sarà pronto ad accusare Minoru di poca attenzione durante l’accaduto, gettando l’uomo nel più totale sconforto. La confessione di omicidio da parte di quest’ultimo giungerà quindi rapidamente ma, viste le sue condizioni psichiche, non sarà difficile dubitare, anche in questo caso, della verità. Le varie testimonianze in tribunale, durante il processo per la morte di Cheiko, montate alternativamente a quelle che parrebbero le immagini dei ricordi di Takeru, non fanno altro che tenere alto il livello del dubbio.
In un’opera che si mantiene visivamente su livelli poco marcati, con inquadrature spesso fisse, una fotografia dai colori delicati, un accompagnamento musicale del tutto assente (se si escludono dei motivi stridenti con l’andamento della storia, poiché di matrice da commedia in salsa seventies) e una mano della regista che non traspare nemmeno dall’utilizzo della cinepresa,  le intuizioni dello spettatore divengono dettaglio caratterizzante ma, poiché senza fondamenta certe, rischiano di pesare oltremodo nell’economia di un giudizio finale.
Il fatto, poi, di non rientrare nel tipico stereotipo emotivo tormentato del genere, con una risoluzione chiara e  non necessariamente positiva, conduce dunque ad un impianto narrativo particolare che nasconde la verità (impedendo una lineare comprensione degli eventi) per poi svelarla repentinamente alle soglie del prologo.
Con la stessa precarietà delle foglie spazzate dal vento, Yureru ha il pregio di rappresentare la labilità del pensiero umano, dove anche la speranza rischia di essere manipolata dalla memoria .[Fabio Rainelli]
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