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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Rāmen zamurai (ラーメン侍, Ramen Samurai)

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Rāmen zamurai (ラーメン侍, Ramen Samurai). Regia: Segi Naoki. Sceneggiatura: Azuma Masayoshi. Interpreti: Watanabe Dai, Yamaguchi Sayaka, Takagi Koto, Awaji Keiko, Nishimura Masahiko, Tsugawa Masahiko. Produttore: Fujikura Hiroshi. Durata: 115′. Uscita nelle sale giapponesi: 22 ottobre 2011.
Link: Sito ufficiale 
Punteggio ★★

Hikari (Watanabe Dai), andatosene di casa da giovane e stabilitosi a Tokyo per lavorare in uno studio di design, riceve la notizia della morte di suo padre, titolare nel corso di tanti anni prima di un banchetto e poi di un ristorante di ramen a Kurume (prefettura di Fukuoka, nel sud del paese), una piccola cittadina molto nota cinquant’anni fa per i suoi tanti banchetti ambulanti di ramen (i cosiddetti yatai). Tornato al paese natale per il funerale, decide di non lasciar morire l’attività del padre. Come sappiamo, fare un piatto fumante di ramen è un’arte e anche per Hikari ricreare i gusti e i sapori peculiari della cucina del padre non è facile. Fra vari tentativi falliti, comprende che l’unica strada è affidarsi all’istinto e tornare a quand’era piccolo e vedeva il padre al lavoro senza ancora capire bene cosa facesse. E’ un viaggio nella memoria che gli farà riscoprire non solo i piccoli segreti culinari ma anche e soprattutto la propria identità famigliare.
Nonostante il titolo reboante e le musiche dei titoli di testa che sembrano preludere a un jidaigeki dei più tosti, è un film che può essere collocato a pieno titolo nel filone sentimentale tipico di tanto cinema giapponese tradizionale. La tradizione di famiglia che non si può lasciar morire, l’impegno morale con il padre divenuto consapevole solo dopo la sua morte, la madre ombra paziente prima del marito e poi del figlio, sembra di essere in uno dei drama di primo mattino post-Fukushima, tutti incentrati sulla famiglia, l’impegnarsi nel lavoro e nella vita, il sacrificio, la ricostruzione. Tematiche che si comprende sono importanti per i giapponesi piegati da una tragedia come quella di due anni fa ma che oggi non arriva a toccare la sensibilità di uno spettatore occidentale.
Ciò che rende il film un po’ meno bolso di quanto potrebbe sembrare sono due scelte stilistiche abbastanza efficaci. La prima è quella di spostarsi avanti e indietro nel tempo della narrazione, cominciando di fatto dalla fine e andando, con continui flash back e flash forward, alle origini. La storia che viene a comporsi nel complesso risulta essere non solo quella del protagonista ma soprattutto della sua famiglia, che vediamo snodarsi fin da quando lui non era nato.
La seconda è una cura dei dettagli scenografici e delle scelte d’illuminazione che migliora la fruizione visiva della vicenda narrata. Soprattutto nel caso delle scene di circa cinquant’anni fa, il film riesce a trasmettere, tra fascino e nostalgia, l’atomsfera che ci poteva essere in tanti pasti serali consumati da soli, in coppia o in gruppo davanti a banchetto ambulante circondato da un telone per ridurre il freddo.
Inutile dirlo, un film che fa venir fame. [Franco Picollo]

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