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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Minasan, sayonara (みなさん、さようなら, See You Tomorrow, Everyone)

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Minasan, sayonara (みなさん、さようなら, See You Tomorrow, Everyone). Regia: Nakamura Yoshihiro. Sceneggiatura: Nakamura Yoshihiro. Fotografia: Kobayashi Gen. Montaggio: Shochiku Toshiro. Musica: Yasukawa Goro. Interpreti: Hamada Gaku, Kurashina Kana, Nagayama Kento, Haru, Otsuka Nene, Bengal, Tanaka Kei. Prodotto da: Geneon Universal Entertainment. Durata: 121’. Uscita nelle sale giapponesi: 26 gennaio 2013.

Siamo negli anni Ottanta, Satoru è un ragazzo che vive insieme alla madre in un danchi, uno dei complessi residenziali costruiti nel dopoguerra durante il periodo del boom economico. Un cinegiornale dell’epoca lo descrive in maniera entusiastica arrivando ad affermare con enfasi «sembra una città europea!». Nel danchi c’è tutto ciò che serve e non è necessario allontanarsene: questo è il pensiero del giovane, (interpretato da uno degli attori preferiti del regista, Hamada Gaku) che infatti farà di tutto per non lasciarlo, cercando lavoro e affetti all’interno dei confini del complesso, mentre a poco a poco tutti gli amici e i conoscenti se ne andranno altrove (didascalie in sovraimpressione danno conto, man mano, dell’esodo).
La vicenda, basata sul romanzo di Kubodera Takehiko, è concentrata sul giovane, un eroe ingenuo, solitario, ma per il quale non si riesce a non provare simpatia. Satoru organizza ronde per verificare che tutti i vicini residenti del danchi siano tornati a casa alla sera, si allena in karate seguendo gli insegnamenti del mitico maestro Mas Oyama, riesce a farsi assumere dal pasticcere del posto, come tutti gli adolescenti cerca, e per certi periodi anche trova, fidanzate. Satoru però rimane nel tempo uguale a se stesso, non cambia. O, almeno, questa è l’impressione che si ha di lui per gran parte del film. Il regista ci propone trasformazioni estetiche anche piuttosto evidenti delle persone, soprattutto delle ragazze, che entrano nel mondo di Satoru, e che lasciano presupporre evoluzioni in senso più ampio: lui invece, è sempre identico.
C’è una torre che incombe nelle inquadrature del film, così come c’è un’ombra ingombrante nell’animo di Satoru: il ragazzo aveva subito un trauma da piccolo e questo era stato l’evento scatenante della sua, per così dire, immobilità da difesa.
Nakamura Yoshihiro, già autore di Fish Story, Golden Slumber, The Foreign Duck, the Native Duck and God, e del gioiellino Potechi affronta con questo film – presentato all’ultima edizione del Far East Film Festival – un bel pezzo di storia del Giappone, dalla bubble economy che investì il Paese a partire dal 1986, alla recessione del 1991. Non solo, si interroga anche sul Giappone moderno e su certi aspetti poco edificanti: nelle ultime sequenze del film Satoru si trova a dover affrontare un gruppo di balordi per difendere una ragazzina, figlia di madre brasiliana e padre giapponese, dall’ennesima violenza da parte dei tre e lo farà proprio richiamando a sé la forza di strumenti “tradizionali”, vale a dire le mosse delle antiche arti marziali.
Alla fine del film Satoru se ne va, ed è questo il momento che più mi ha colpita.
Lascia una prima volta il danchi quando lo chiamano dall’ospedale perché la madre sta morendo, e successivamente, dopo aver trovato il diario di lei e aver letto che la donna avrebbe voluto che le sue ceneri fossero disperse in mare nella sua città natale, se ne va definitivamente. In una vicenda che in diverse occasioni pare quasi “compressa”, non solo per i confini spaziali, ma proprio per quelli psicologici del personaggio, Nakamura rende invece questi momenti di allontanamento del tutto naturali: Satoru non ha nessuna crisi di panico sulla scalinata che lo porta fuori da complesso, come era successo in precedenza, ma corre via veloce, nulla nella sequenza che sottolinei in qualche modo il momento. E allora viene da pensare che ciò che finalmente può aver sciolto il nodo del suo animo è stato tutto l’amore e la devozione dell’unica donna che gli è rimasta silenziosamente accanto per tutto il tempo, sempre sostenendolo, nonostante le stranezze, e cioè sua madre.
Satoru è cresciuto, ha affrontato i suoi demoni. L’altro grande protagonista del film, il maestoso danchi, rimane lì a testimoniare un’epoca, passata sì, ma alla quale guardare, forse, con un po’ di malinconia. [Claudia Bertolè]

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