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Miss zombie

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Miss Zombie. Regia e sceneggiatura: Sabu. Fotografia: Sōma Daisuke. Montaggio: Sagara Noichirō. Interpreti: Komatsu Ayaka (Sara), Togashi Makoto (Shizuko), Tezuka Toru (Teramoto), Suruga Tarō, Ohnishi Riku. Produzione: Yoshida Ken’ichi, Utagawa Yasushi per Amuse Soft Entertainment. Durata: 85’. Uscita nelle sale giapponesi: 14 settembre 2013. HDCAM.
Link: Peter Martin (Twitch) – Sito ufficiale in giapponese (con trailer)
Punteggio ★★★

Presentato prima a «L’Étrange festival» di Parigi e poi a Busan, l’ultimo film di Sabu, Miss Zombie, rappresenta una sorta di ritorno alle prime produzioni indipendenti – le migliori – del regista. Diversamente da queste, tuttavia, il film non gioca su un registro ironico, né su quegli sfrenati e paradossali inseguimenti e caccie all’uomo che avevano caratterizzato gli esordi del cineasta. Qui, invece, il tono è decisamente drammatico e si costruisce intorno a un’insolita storia che ha per protagonista una zombie, Sara. Nel riprendere una figura che gode di un certo successo nel cinema contemporaneo occidentale, Sabu evita tuttavia gli effetti grand guignol e splatter, per usare la sua creatura come la cartina al tornasole di un’umanità alla deriva che ha ormai perso ogni valore etico. La storia, idealmente ambientata in un prossimo futuro, ha per protagonista un’agiata famiglia, padre (Teramoto), madre (Shizuko) e figlioletto (Ken’ichi), che prende a servizio, un po’ come domestica, un po’ come oggetto di curiosità, una zombie “di basso livello” (che è a dire non pericolosa per gli umani). Tuttavia, sul modello di Teorema (1968) di Pasolini o se vogliamo di Visitor Q (2001) di Miike Takashi, l’ingresso della “donna” in quest’universo chiuso produrrà una serie di drammatiche e irreparabili conseguenze. Se, infatti, da una parte, Sara sarà vittima di una serie di violenze operate dai bambini e dai giovani del vicinato, che ogni sera la prendono a pietrate e le configgono una lama nelle spalle, dall’altra diverrà l’oggetto del desiderio, prima dei due rozzi aiutanti a servizio della famiglia, poi dello stesso marito. Il sentimento di gelosia di Shizuko – casuale testimone di un incontro sessuale fra il marito e Sara – è aggravato da un altro e ben più grave fatto. Dopo essere stato riportato in vita dalla stessa zombie, Ken’ichi, che era morto annegato, inizia infatti a sentirsi molto più vicino a Sara che non alla propria madre. La perdita del marito e del figlio scateneranno così la furia di Shizuko.
Questa vicenda che fa esplodere le contraddizioni di un universo borghese, e fa di Sara una sorta di metafora delle condizioni di vita di molte donne emigrate in un paese straniero, guardate con diffidenza, vittime di violenze, ma anche oggetto di quel desiderio “facile” a realizzarsi che spesso l’“altro” suscita, si complica poi attraverso un secondo intreccio. Sara, infatti, come rivelerà un successivo flashback, era stata a sua volta aggredita, quando era incinta, da una banda di zombie, fatto che provocò non solo la sua trasformazione ma anche la perdita del bambino. Il suo rapporto con Ken’ichi sarà così il tentativo di compensare il vuoto creato dalla sua mancata maternità.
Girato in bianco e nero, salvo una sequenza, e con un frequente uso della macchina a mano, il film procede, almeno sino al suo violento finale, con una certa lentezza, ripetendo ostinatamente le stesse situazioni e gli stessi fatti, con un incedere che in qualche modo diventa tutt’uno con quello monotonamente strascicato della sua stessa protagonista. [Dario Tomasi]

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