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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Nuigulumar Z (ヌイグルマーZ, Gothic Lolita Battle Bear)

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Nuigulumar Z (ヌイグルマーZ, Gothic Lolita Battle Bear). Regia: Iguchi Noboru. Soggetto: da una canzone di Otsuki Kenji. Sceneggiatura: Iguchi Nobori, Tsugita Jun. Effetti speciali: Nishimura Yoshihiro. Interpreti: Nakagawa Shōko, Takeda Rina, Ichimichi Mao, Neko Hiroshi, Takagi Koto, Boo Jiji, Hiraiwa Kami. Durata: 99 minuti. Uscita in Giappone: 25 gennaio 2014.
Link: Trailer

Quando devo scrivere di un film di Iguchi Noboru, la cosa che mi crea più problemi è raccontare la trama. Non perché sia incomprensibile, non troppo almeno. Quanto piuttosto per il fatto che nei suoi film succede di tutto e il contrario di tutto, senza la minima preoccupazione di congruenza. I suoi sono film che si godono, o si respingono, nel loro insieme, come un rullo caleidoscopico artigianale che scorre senza fine. Anche se uno si alza e va in cucina (se è a casa) o alla cassa del cinema a prendere una bibita, quando torna a sedere non ha perso nulla, perché il bailamme delle immagini continua a scorrere felicemente. Sotto un certo punto di vista è una cosa rassicurante.
Dopo un antefatto che non c’entra nulla se non per giustificare l’uscita della mano di uno zombie da una torta di compleanno, la storia di Nuigulumar Z, se ho capito bene, inizia con una madre divorziata da un marito violento e una bambina, Kyoko, che non riceve mai regali per il compleanno. Questa volta però è diverso. La madre ha preparato due regali: un orsacchiotto di peluche rosso fatto a mano e un taccuino per scrivere storie. Nello spazio siderale, intanto, un pianeta si disintegra e due guerrieri di quel pianeta cadono sulla terra sotto forma di pulviscolo. Uno si insinua in un orsacchiotto di peluche nero e si fonde con il suo malvagio possessore, diventando il cattivo Amigulumar; l’altro entra nel peluche rosso ed elegge la bambina che lo riceve sua principessa, da amare e proteggere. A casa della madre arriva intanto la sorella, una pasticciona che come unica attività ha quella di vestirsi da lolita nonostante non sia più giovanissima. Sarà proprio lei a fondersi con l’orsacchiotto rosso e a diventare Nuigulumar, “la buona” del film. Ma il cattivo ha aperto le porte del mondo agli zombie che sciamano ovunque mangiando i malcapitati che incontrano. Per Nuigulumar inizia un duro lavoro…
Quello accennato sopra è poco più che l’inizio dei circa cento minuti di storia che racconta il film. Impossibile raccontarlo tutto.
Con Nuigulumar Z, Iguchi si conferma l’Ed Wood del cinema giapponese contemporaneo. Gli effetti speciali sono sempre a livello casalingo, dove più che l’ambizione a una messa in scena incisiva, sembra trasparire il divertimento di chi li realizza: per esempio, le ali di Nuigulumar e di Amigulumar sono di peluche. Le trovate colpiscono al di là del contesto, nel senso che divertono non tanto per ciò che si vede quanto per il fatto che si è quasi ammirati per come il regista abbia potuto concepirle. Qualche chicca: un’eroe minore che passerà dalla parte dei buoni è in realtà una donna travestita che si chiama Kill Billy (l’allusione è davvero sottile); oppure, quattro belle ragazze si scoprono il seno e l’imbarazzo di mostrarsi a seno nudo si trasforma in energia che consente loro di volare ed emanare dai capezzoli letali raggi laser. Il titolo, infine, deriva dal fatto che nel gran finale, l’orsetto nero fugge dal suo possessore e va a ricongiungersi con l’orsetto rosso. Nuigulumar raddoppia così la sua potenza e diventa, appunto, “Nuigulumar Z”.
Rispetto a film precedenti, pensiamo per esempio al divertente Dead sushi,  sembra ridotta la componente splatter (c’è solo una scoreggia colorata in tutto il film e gli spruzzi di sangue dei banchetti degli zombie sono solo accennati) per lasciare spazio a un pastiche che talvolta evoca un musical pop e più spesso le avventure dei Power Ranger – che, com’è noto, in Giappone continuano a generare prodotti televisivi e cinematografici. La mescolanza/confusione dei generi sessuali abbonda, qua e là ci sono accenni ad amori saffici (la zia e Kyoko da grande, Kyoko e Kill Billy), anche se puramente spirituali, e le parole più ricorrenti sono “proteggere” e “salvare”. Verrebbe da pensare che Iguchi stia cercando di ampliare il suo bacino di seguaci fra le adolescenti.
Opportuna la scritta finale a firma del regista stesso: “Sebbene in questo film appaiano luoghi e organizzazioni reali, si tratta di un’opera di finzione ed essi non hanno nulla a che fare zombie e altre cose morte viventi”. Per chi avesse avuto dei dubbi. [Franco Picollo]

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