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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Shirayuki hime satsujin jiken (白ゆき姫殺人事件, The Snow White Murder Case)

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Shirayuki hime satsujin jiken (白ゆき姫殺人事件, The Snow White Murder Case). Regia: Nakamura Yoshihiro. Sceneggiatura: Hayashi Tamio (da un romanzo di Minato Kanae); Fotografia: Kobayashi Gen; Suono: Matsumoto Shōwa; Montaggio: Kawase Isao; Musiche: Yasukawa Gorō; Interpreti: Nanao, Inoue Mao, Ayano Go, Renbutsu Misako, Kaneko Nobuaki, Kanjiya Shiori, Ono Erena, Tanimura Mitsuki, Namase Katsuhisa; Produzione: Shochiku; Durata: 126′; Uscita nelle sale giapponesi: 29 marzo 2014.
Presentato in Italia in occasione del Far East Film Festival 2014.
Link: Trailer (Youtube) – Mark Schilling (Far East Film) – Derek Elley (Film Business Asia) – Daria Pomponio (Quinlan)

Il cadavere carbonizzato di Noriko, un’avvenente impiegata di una ditta di cosmetici, viene rinvenuto in un bosco. Dalle indagini, la giovane donna risulta essere stata accoltellata numerose volte. Su impulso di una conoscente nonché collega della stessa Noriko, un giovane e inetto stagista presso un’emittente televisiva, ambizioso ma più interessato ai social network che non al proprio lavoro (che svolge con poca professionalità), si mette sulle tracce di Miki, colei che, stando ai pareri di molti colleghi e conoscenti della vittima, sembra essere la principale indiziata. Il dedalo di congetture è tuttavia più intricato del previsto, e i media e la rete non fanno che intorpidire ulteriormente le acque.
Per quanto buona parte dei suoi film più recenti indulgano alle forme di una commedia stralunata e commovente, il thriller e il mystery hanno sempre rivestito un ruolo di primaria importanza nella filmografia di Nakamura Yoshihiro, senza alcun dubbio uno dei registi giapponesi più ecletticamente prolifici tra quelli saliti alla ribalta negli anni Duemila. Con The Snow White Murder Case, il regista che, ricordiamo, esordì come sceneggiatore e regista di J-Horror, ritorna ancora una volta ad atmosfere dark a lui congeniali, realizzando un thriller dai meccanismi perfettamente oliati (anche quando allenta la tensione per concedersi una lunga digressione), senza per questo rinunciare del tutto a lanciare, come di consueto, uno sguardo attento e ironico sul Giappone contemporaneo.
Il film è una trasposizione di un romanzo di Minato Kanae, autrice del romanzo La confessione, già felicemente portato sugli schermi da Nakashima Tetsuya, la cui prosa basata su architetture complesse e frammentarie ben si adatta agli schemi narrativi prediletti da Nakamura (in particolare nel suo concludersi con una illuminante revisione “a ritroso” di una vicenda altrimenti insondabile). Anche in questo caso, adottando la forma di un racconto corale sfaccettato e spesso contraddittorio, la scrittrice ci svela una realtà intricata, passibile di una continua messa in discussione. Dal canto suo, la regia di Nakamura alimenta sapientemente e con intelligenza quest’immagine equivoca del reale conferendo, alla Rashomon, pari dignità alle differenti versioni sull’accaduto, le quali che non vengono gerarchizzate, bensì riprese allo stesso modo, senza soluzioni di linguaggio che conferiscano maggior plausibilità a questa o a quella sequenza.
Tale equiparazione/confusione di reale e immaginario, oggettivo e soggettivo, non è affatto estranea al regista, il quale sembra infatti trovarsi particolarmente a suo agio nel trattare la materia. Simile era per esempio il ruolo assunto dai media in Golden Slumber, ma già l’apprezzabile thriller degli esordi The Booth, in cui Nakamura dimostrava una certa abilità nella costruzione della suspense, si basava interamente sul senso di paranoia progressiva che, sovrapponendosi alla realtà stessa, onnubilava la mente del dee-jay protagonista.
Nel caso specifico di The Snow White Murder Case, il caos prodotto dalla molteplicità e influenzabilità dei punti di vista, ulteriormente inquinati dagli interessi personali, viene amplificato dai media, TV e Web in primis, e concretizzato sullo schermo tramite la compresenza debordante di più canali espressivi usati simultaneamente (emblematico l’espediente dei messaggi mostrati in sovrimpressione nel corso dei dialoghi), i quali si scavalcano a vicenda obbligando lo spettatore a orientarsi nell’intricata giungla mediatica di una comunicazione multitasking.
In questo senso, The Snow White Murder Case è innanzitutto un film sul tema quanto mai attuale dell’agghiacciante superficialità e incontrollabilità delle informazioni condivise, strettamente legato a quello dell’inaffidabilità dell’immagine soggettiva che abbiamo e che più o meno consapevolmente forniamo del reale. Ma c’è spazio anche per la rappresentazione di un’umanità ferina guidata dall’istinto di sopravvivenza in una società in crisi in cui un posto di lavoro può essere oggetto di lotte senza esclusione di colpi, nonché per il tema, forse più scontato ma affrontato con grazia, della differenza di peso che intercorre tra relazioni reali e virtuali. All’interno di un simile scenario, la Biancaneve del titolo risulta essere non tanto la vittima Noriko quanto l’indiziata Miki, così anomala nella sua purezza goffamente naif (che rimanda per certi versi ad altri personaggi di Nakamura, in particolare a quelli interpretati da Hamada Gaku) da sembrare la protagonista di una fiaba. Un legame con la letteratura infantile rafforzato, tra l’altro, dall’accostamento del suo personaggio con il romanzo Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery, citato nell’intreccio. È proprio Miki, come la protagonista del classico dei Grimm, a ritrovarsi suo malgrado invischiata in una foresta impenetrabile e spaventosa, i cui mostri non sono altro che illusioni nella notte della ragione.
Un film riuscito, in cui divertimento e inquietudine viaggiano di pari passo. [Giacomo Calorio]

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