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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

FORMA


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FORMA. Regia: Sakamoto Ayumi. Sceneggiatura: Nishihara Ryo. Fotografia: Yamada Shinya. Suono: Takahashi Masaru. Personaggi e interpreti: Umeno Nagisa (Kaneshiro Ayako), Matsuoka Emiko (Hosaka Yukari), Nozoe Seiji, Mitsushi Ken, Nishihara Ryo. Prodotto da: kukuru inc. Durata: 145 minuti. Anno: 2013.
Link: Derek Elley (Film Business Asia) 
Punteggio ★★★

Perché una giovane donna, in un ufficio, si mette uno scatolone in testa e comincia a muoversi per il locale come fosse un automa? È annoiata? Gioca? Sono ricordi di quando era bambina o la scena rappresenta la metafora di un corpo (e di un’anima) in trasformazione?
Sakamoto Ayumi debutta alla regia, dopo aver lavorato nel mondo dei video e aver collaborato con Tsukamoto Shinja, con quest’opera minimalista e a tratti lentissima, che le ha valso riconoscimenti sia al Tokyo International Film Festival del 2013 che alla Berlinale del 2014.
Ayako divide la propria vita tra il lavoro in una ditta, in cui ricopre una posizione di responsabilità, e la casa, dove vive con il padre. Un giorno casualmente incontra per la strada una ragazza che è stata sua compagna di scuola, Yukari. Tra le due sembra rinsaldarsi un’amicizia: vanno a cena insieme con il fidanzato di Yukari, Ayako addirittura fa in modo che Yukari possa essere assunta nella stessa ditta dove lavora lei. L’apparenza però è ingannevole: a poco a poco emergono questioni irrisolte (una vera o presunta relazione di Yukari con il padre di Ayako), ferite non rimarginate, che finiscono per svelare tutta l’ambiguità del rapporto tra le due ragazze. Fino ad una sorta di resa dei conti, dal finale drammatico.
Forma è un film sulla solitudine, sull’alienazione, sull’odio mai risolto che avvelena le relazioni. È un’opera in cui la violenza, che si percepisce repressa fin dall’inizio, gradualmente si propone, in modo via via più pressante: dall’improvviso scatto d’ira di Ayako che, al lavoro, colpisce Yukari in testa con una cartellina, fino alla morte della stessa Ayako, strangolata dall’amica. I personaggi creati dalla regista non sono di quelli che riescono a suscitare simpatia: Ayako è odiosa, fin da subito sembra voler esercitare pressioni sulla dolce e carina Yukari, facendole ogni sgarbo. Yukari, da parte sua, non sembra più così dolce e carina quando si insinua l’ombra della relazione con il padre di Ayako, che avrebbe determinato l’abbandono della famiglia da parte della madre di quest’ultima. Sempre meno dolce e carina ci appare quando soffoca a mani nude l’ex compagna di classe invadente. Ad un certo punto entra in scena anche un nuovo personaggio, Nagata, l’anonimo cameriere del ristorante dove le due si recano tutti i giorni a pranzare: l’uomo si è preso a cuore la vicenda di Yukari e comincia a seguirla, addirittura piombandole in casa di notte e intervenendo all’incontro/resa dei conti tra le due, nel magazzino della ditta. Sarà ancora lui a portare la cassetta dove è registrato l’incontro che ha determinato la morte di Ayako al padre della ragazza. Il cameriere-stalker non può non evocare certi personaggi dei film di Tsukamoto, come per esempio quello interpretato dallo stesso regista nel suo Rokugatsu no hebi (A Snake of June, 2002).
Con spostamenti temporali, una messa in scena minimale e lentissime riprese senza uso di musica, la regista costruisce una sorta di thriller, nel quale i vari tasselli del puzzle vengono svelati a poco a poco allo spettatore.
Nell’eterna sequenza del magazzino, ripresa più volte dai diversi punti di vista, Ayako accusa l’ex compagna della relazione con il padre in un piano sequenza dal tempo dilatato, senza alcun sottofondo musicale, nel quale sono le voci delle protagoniste a prendere il sopravvento facendosi via via sempre più stridule.
Dopo lo strepito e l’orrore di un omicidio, il finale si distende in un ambiguo campo lungo, che coinvolge Yukari e il padre di Ayako: l’uomo strattona la ragazza e poi finisce per sedersi davanti a lei in mezzo alla strada, mentre dietro di loro passa un treno.
Lo spettatore è tenuto lontano, a farsi domande e ad azzardare risposte. [Claudia Bertolè]

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