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Yume to kyōki no ōkoku (夢と狂気の王国, The Kingdom of Dreams and Madness)

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Yume to kyōki no ōkoku (夢と狂気の王国, The Kingdom of Dreams and Madness). Regia, soggetto, sceneggiatura e montaggio: Sunada Mami. Musica: Takagi Masakatsu. Produttore: Kawakami Nobuo. Durata: 118 minuti. Uscita in Giappone: 16 novembre 2013.

Link: Sito ufficiale (con trailer)

The Kingdom of Dreams and Madness è un caso più unico che raro. Nasce infatti dalla concessione che è stata fatta alla regista Sunada Mami  di passare più di un anno in compagnia del Miyazaki Hayao, seguendolo durante la gestazione di quello che si è rivelato essere il suo ultimo lungometraggio animato, The Wind Rises. Il film segue il travaglio della creazione, le piccole abitudini quotidiane di Miyazaki fino alla decisione del ritiro, anche se questa non è mai discussa davanti al video e viene ellitticamente lasciata da parte dalla regista mostrandoci solo gli istanti che precedono la conferenza stampa dell’annuncio.
Questo documentario, girato con un tocco delicato, talvolta lirico e talvolta comico, si concentra principalmente sulla figura di Miyazaki. Takahata Isao appare davvero marginalmente, si parla sì del suo nuovo lavoro, The Tale of Princess Kaguya, ma il regista stesso appare solamente due minuti verso la fine del film e questo nonostante la sua relazione con Miyazaki, che a tratti assume i toni di rivalità artistica, almeno nelle parole di alcuni intervistati, sia assolutamente centrale in questo documentario. Un altro motivo d’interesse è dato dalle fotografie e dai video d’archivio che ci mostrano dei giovanissimi Takahata, Miyazaki e Suzuki Toshio, produttore e collante di tutto lo studio, ai tempi in cui lavoravano per la Toei Animation e successivamente ai tempi della fondazione dello Studio Ghibli. Un racconto per immagini che ci permette di intuire la reciproca influenza che questi tre personaggi hanno avuto reciprocamente l’un l’altro e attraverso la quale sono cresciuti artisticamente e personalmente, da Hols Prince of the Sun a Panda Kopanda fino al successo di Heidi e al debutto alla regia di Miyazaki con Lupin III – Il Castello di Cagliostro nel 1979.
The Kingdom of Dreams and Madness è un racconto che la regista riesce pienamente a controllare e a fare proprio senza debordare nell’apologo, anche se il rischio c’è ed in fondo è un lavoro molto celebrativo e non d’indagine attraverso il quale traspare l’ammirazione ed il rispetto dell’autrice verso i tre. Dal punto di vista filmico, è intelligente la scelta della regista di non usare quasi mai spezzoni dei lungometraggi animati, l’arte dello Studio Ghibli resta questa volta sullo sfondo in una sorta di capovolgimento di prospettiva che ci mostra quello che di solito è invisibile. Solo verso la fine in una piccolissima ma densissima parte rivediamo la carriera di Miyazaki in meno di un minuto quando lui stesso confessa come parte della sua ispirazione venga nell’osservare le cose dall’alto.
Tutto il documentario, fin dalle primissime scene, è formato da immagini del verde che circonda lo Studio Ghibli ed il Museo Ghibli e la luce che filtra attraverso gli alberi, un tema ricorrente nei lungometraggi, nella musica e nella poetica della luce dello studio. Ma anche dai piccoli fiori di campo, nati naturalmente e quasi insignificanti ma che Miyazaki in più di una occasione fa notare alla regista richiamandola e rimarcandone la bellezza e l’importanza. In questo senso le immagini più liriche sono quelle sul tetto dello Studio, interamente ricoperto di verde e da cui ogni sera, al tramonto, Miyazaki osserva la città ed il cielo.

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Molta parte del documentario inoltre, due ore compatte che passano filate senza rallentamenti di sorta, è formato dal processo creativo che ha portato Miyazaki alla realizzazione di The Wind Rises. Prima la creazione in circa due anni dell’ekonte, la maniacalità del dettaglio, i colori, la scelta delle voci con la sorpresa della scelta di Anno Hideaki per il protagonista principale, ma anche l’interazione con le altre persone che lavorano nello studio, lo scambio di battute con la signora che gli porta settimanalmente lo yakult e qualche parola con la regista su Fukushima ed il no al nucleare, che molte volte vediamo campeggiare come slogan all’interno dello studio. Ma oltre all’ossessione per gli aerei, per i personaggi da lui disegnati e per il lavoro di disegnatore e creatore di storie, ciò che forse colpisce di più, la cosa che ci da la dimensione del Miyazaki uomo, sono i piccoli gesti quotidiani al di fuori dell’ambito lavorativo, le domeniche passate a pulire gli argini del fiume con gli altri abitanti della zona, pratica molto comune in Giappone, e l’abitudine di passare ogni giorno davanti ad un asilo della zona e di fermarsi a salutare con la mano i bambini, la scena con cui, bagnato in una splendida luce mattutina, si conclude il film. [Matteo Boscarol]

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