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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Yokudō (欲動, Taksu)


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Yokudō (欲動, Taksu). Regia: Sugino Kiki. Sceneggiatura. Wajima Kotarō. Fotografia: Saleh Sidi. Montaggio: Lee Chatanetikool. Musica: Tominomori Seigan. Interpreti: Mitsuya Yoko (Yuri), Saitoh Takumi (Chihiro), Sugino Kiki (Kumi), Sunny Cornelio, Produzione: Wa Entertainment. Anteprima mondiale: Busan Film Festival ottobre 2014. Uscita nelle sale giapponesi: 22 novembre 2014. Durata: 97’. Origine: Giappone, Tailandia, Stati Uniti.
Links: Trailer Mark Schilling (The Japan Times) – Mark Adams (Screen Daily) 
Punteggio ★★

Yuri e Chihiro sono una giovane coppia di sposi. Chihiro è in attesa di un difficile intervento chirurgico che potrebbe decidere, in un senso o nell’altro, della sua vita. A causa delle ossessioni dell’uomo, che non riesce a liberarsi dall’idea della sua possibile morte, il rapporto fra i due coniugi è molto teso. Un viaggio a Bali, forse, potrebbe essere d’aiuto. Qui i due sono ospiti di Kumi, sorella di Chihiro, e del suo compagno olandese. Il senso di morte che attanaglia Chihiro trova il suo contrappeso nell’imminente nascita del bambino della sorella. Nonostante il clima rilassato di Bali, i rapporti fra i due coniugi non migliorano. Il marito propone alla donna di ritornarsene da sola in Giappone, un po’ come se lui preferisse rimanere lì per conto proprio e rinunciare alla vita. Esasperata, Yuri finisce col tradire il marito con un beach boy locale, un gigolo ‘specializzato’ in donne giapponesi. Quando però, dopo il parto di Kumi, sente questa e il suo compagno scambiarsi intimità affettuose, entra nella stanza di Chihiro e riesce, finalmente, a fare l’amore con lui.
Trent’anni, attrice (fra gli altri in Kantai di Fukada Kōji, 2010), produttrice e ora anche regista, Sugino Kiki realizza un film sospeso fra due modelli inconciliabili: da una parte un cinema d’autore che verte soprattutto su una donna che nel lussureggiante mondo di Bali riscopre la propria sensualità (il modello celato è quello di Viaggio in Italia) e si affida a tempi lenti e lunghi piani sequenza (come quello dell’inziale cena a quattro); dall’altra un film dai toni soft erotici (a essere un po’ cattivi potremmo dire che il modello è Amori a Ibiza), con prolungate scene sessuali, non esplicite, e decisamente patinate (quella sulla spiaggia col beach boy è una tentazione a fuggire dalla sala). Ci mette poi del suo anche una rappresentazione di Bali da dépliant turistico: con le danze e le musiche locali, i templi, i bagni termali, i tramonti e le spiagge.
L’assunto di fondo è chiaro: la dialettica di vita e morte che passa attraverso la sessualità. Ma i personaggi che devono farlo proprio, appaiono un po’ statici e a volte poco comprensibili. Quando, nel corso del primo incontro col beach boy, questi tenta di stuprarla in un bagno pubblico… non sta né in cielo né in terra che lei reagisca all’accaduto quasi con indifferenza e  con ben poco turbamento. Finendo poi, a poche ore di distanza, col farsi prendere più che consenziente.
Il momento migliore del film è forse, nella sua elusività un po’ rosselliniana, quello finale: Yumi e Chihiro sulla spiaggia, lui che entra in acqua, lei che rimane a riva. Lui che la invita a raggiungerla, uscendo di campo, e lei che resta, invece, seduta a terra. Un finale aperto, sospeso, che rinvia a un ipotetico dopo film ogni possibile esito, in quell’ambiguità – un po’ alla Bazin – che è propria della vita, e a volte anche del cinema.
Quale dei due aspetti di Yokudō prevarrà nel prossimo lavoro di Sugino (Manga niku to boku / Kyoto Elegy), già presentato all’ultimo Festival di Tokyo? [Dario Tomasi]

 

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