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Kamisama no iu toori (神さまの言うとおり, As the Gods Will)

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Kamisama no iu toori (神さまの言うとおり, As the Gods Will). Regia: Miike Takashi: Soggetto:  dal manga di Kaneshiro Muneyuki. Sceneggiatura: Fujimura Akeji. Fotografia: Kita Nobuyasu. Suono: Shibasaki Kenji. Musica: Endo Koji. Personaggi e interpreti: Fukushi Sōta (Takahata Shun), Kamiki Ryunosuke (Amaya Takeru), Yamazaki Hirona (Akimoto Ichika), Yuki Mio (Takase Shoko), Sometani Shōta (Satake), Lily Franky (homeless). Produttori: Usui Hisashi,  IshiguroYūsuke, Saka Misako. Durata: 118 minuti. uscito nelle sale giapponesi: 15 novembre 2014.

Punteggio ★★★1/2

L’apocalisse ha origine da un lamento: «Ho una vita noiosa». Gli dei si infastidiscono e danno inizio ad un macello, nel vero senso della parola.
Chi si lamenta è Shun, uno studente delle superiori che si ritrova catapultato, insieme ad altri ragazzi, in un mondo in cui, per rimanere vivi, occorre giocare e vincere in una serie di intrattenimenti per bambini versione horror: all’inizio sarà una bambola daruma alla quale si gonfiano di rabbia le vene degli occhi un istante prima di far esplodere le teste dei malcapitati concorrenti (il gioco è Daruma ga koronda, una sorta di “Un, due, tre, stella” in versione distruttiva), poi un enorme maneki neko, “simpatico” gattone che però mangia i topi/umani perché non giocano con lui come vorrebbe (e soprattutto perché non gli grattano la schiena), quindi, ancora, alcune spietate kokeshi, bambole tratte dalla tradizione giapponese che qui formano un gruppetto di insensibili torturatori.
Una volta iniziato il “percorso” non sarà possibile tornare indietro, e non resterà che continuare il gioco, in questa Battle Royale nella quale non sembra previsto che ne rimanga neppure uno.
As the gods will, tratto da un manga dal titolo omonimo scritto da Kaneshiro Muneyuki e illustrato da Fujimura Akeji, è un’opera visionaria e coinvolgente, in cui Miike Takashi mescola divertimento crudele e spunti filosofici: il gigantesco maneki neko con la vocina stridula che schiaccia e divora piccoli uomini-topi ci ricorda, uno per tutti, che anche le icone apparentemente più buone e affidabili possono nascondere fini distruttivi.
Tra esplosioni di teste e tappeti di cadaveri sanguinolenti si riflette sulla natura umana e sui suoi reconditi antri di oscurità, ed anche sull’interferenza, nella vita dei traballanti esseri umani, da parte di un dio potente, ma incomprensibile negli intenti. Oppure ci si pongono domande sulle conseguenze devastanti dell’evoluzione dei videogiochi. Si riflette, sì, ma ci si diverte anche molto, lasciandosi conquistare da una regia iperbolica e visionaria.
L’opera è ricca, travolgente: Miike ci offre anche un duo di personaggi principali in contrapposizione, il buono Shun e il luciferino Takeru, che si dibattono – il secondo con evidente maggiore soddisfazione – in un mondo di divinità violente che si rifanno a regole ignote e senza senso.
L’ho trovato un gran film, un ritorno – o per lo meno uno sguardo volto indietro – alle atmosfere dei film di Miike di qualche tempo fa.
Molto azzeccato e contemporaneo, a mio parere, che sia il riferimento alla noia a dare avvio alla strage generazionale: “noia” forse come assenza, perdita di valori, che a sua volta determina, nel vuoto che si produce, la presa di potere di valori altri. Così come suona famigliare la strabordante invasività mediatica che trae spunto dalla vicenda dei protagonisti.
Shun, rendendosi conto dell’ineluttabilità del processo che ha preso avvio, ritratterà quasi subito le sue affermazioni: «Vorrei di nuovo la mia noia». Ma il regista-dio non lo ascolterà, concedendo ai suoi spettatori due ore di delirante divertimento. [Claudia Bertolè]

 

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