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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Sayōnara (さようなら, Sayonara).

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Sayōnara (さようなら, Sayonara). Regia: Fukada Kōji. Soggetto: dalla pièce teatrale di Hirata Oriza. Sceneggiatura: Fukada Kōji. Fotografia: Ashizawa Akiko. Supervisore dell’androide: Ishiguro Hiroshi. Interpreti: Bryerly Long, Arai Hirofumi, Geminoid F, Murata Makiko, Murakami Nijiro, Kibiki Yuko. Irène Jacob, Jérome Kircher.
Produttori: Okuyama Kazuyoshi, Fukada Kōji. Durata: 112 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 21 novembre 2015. World premiere: 24 ottobre 2015, Tokyo International Film Festival.
Link: Mark Schilling (Japan Times) – Fernando Gros (The Society For Film).

Anche la rappresentazione della tragedia può tradursi in una cosa noiosa se maneggiata male. Pare questo il caso di Sayōnara .
In un Giappone segnato dall’esplosione di una centrale nucleare che sta costringendo all’evacuazione dei suoi abitanti all’estero, in una casa isolata nella campagna vivono Tanya, un’immigrata sudafricana, e Leona, un androide dalle sembianze di donna su una sedia a rotelle. Tanya ha una malattia mortale e il padre, ormai scomparso, le aveva comprato il droide perché le facesse compagnia. Pochissime persone ruotano intorno a Tanya e Leona: Sano, un’amica che ha ucciso il figlio per “negligenza” e si suicida di lì a poco, e Satoshi, un fidanzato poco reattivo che a un certo punto si defila. Tanya e Leona sono quindi completamente sole, isolate e allo stesso tempo al centro di una tragedia ancora più grande della loro. Gli evacuati vengono chiamati per espatriare in base a un numero progressivo frutto di tante componenti e Tanya, in quanto immigrata, verrà fra gli ultimi. Leona recita a Tanya poesie in varie lingue, ogni tanto parlano, il resto è attesa della fine.
Fukada Kōji, dopo il bel Kantai (Hospitalité, 2011) e il notevole Hotori no Sakuko (Au revoir l’été, 2013) di sapore rohmeriano aveva fatto presagire grandi cose. Invece ci delude con questo filmino che neanche ai saggi finali dei corsi di cinematografia sarebbe passato.
Tratto da una pièce teatrale di Hirata Oriza, il film si presenta agli occhi di chi guarda come gratuito e inutile in tutto il suo svolgimento. Recitazione lenta e straniata per far capire che è “ispirata”, lunghi silenzi, inquadrature fisse lunghe e insistite. Questi e altri espedienti del catalogo dei film “d’autore” vengono profusi a piena mani. L’ultima parte, poi, quando Tanya e Leona restano completamente da sole, è composta soprattutto di immagini fisse dalla durata prolungata che trovano il loro culmine nella sequenza in cui Tanya muore e lentamente, di fronte ai nostri occhi, il suo corpo si corrompe e si trasforma in uno scheletro.
Si rimane storditi di fronte a questa pochezza intellettuale e stilistica. Che cosa può spingere un regista che ha già dimostrato di saper fare buone cose a realizzare un prodotto del genere? Forse la collaborazione con Ishiguro Hiroshi, lo scienziato che ha dato “vita” al robot che nel film si chiama Leona (il cui “vero nome” è Geminoid F), forse il precedente successo della pièce teatrale, o ancora l’idea di fare un prodotto di sci-fi sofisticato e al passo con i tempi (non va dimenticata l’esplicita vocazione di Fukada a riprendere stili e tematiche di registi occidentali).
Non so, certo che il risultato non pare convincente. Qualcuno ha invocato il nome di Tarkovsky, in particolare per la rappresentazione di temi metafisici attraverso riprese prolungate, recitazione nella natura, oppure con l’evocazione del passare del tempo e delle stagioni tramite l’evidenziazione dei cambiamenti climatici e l’uso di movimenti circolari di macchina in campo lungo. Queste cose in Sayōnara ci sono ma sono la conferma che non basta buttare nella pentola gli ingredienti giusti per fare un buon piatto. [Franco Picollo]
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