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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Maku ga agaru (幕が上がる, Curtain Rises)

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Maku ga agaru (幕が上がる, Curtain Rises). Regia: Motohiro Katsuyuki; soggetto: dal romanzo di Hirata Oriza; sceneggiatura: Kiyasu Kōhei; fotografia: Sakō Akira; interpreti: Kuroki Haru, Momota Kanako, Tamai Shiori, Takagi Reni, Ariyasu Momoka, Sasaki Ayaka, Muro Tsuyoshi; produttore: Moriya Keiichirō. Durata: 119′. Uscita in Giappone: 28 febbraio 2015.
Link: Mark Schilling (Japan Times)

Punteggio: 3/5

In un liceo di provincia, un gruppo di studentesse si iscrivono al club teatrale della scuola ma le loro prestazioni e la guida dell’insegnante responsabile lasciano molto a desiderare. Le cose iniziano a cambiare quando arriva una nuova insegnante (Kuroki Haru) che ai tempi dell’università recitava a Tokyo. Pian piano, la nuova insegnante infonde nelle ragazze il coraggio di provare a cimentarsi, nel teatro come nella vita. Una di esse, in particolare, Saori (Momota Kanako), troverà l’energia di impegnarsi come regista e guidare le compagne anche quando dovranno affrontare da sole la competizione con le compagnie teatrali dei migliori licei del paese.

In Giappone il genere seishun eiga (letteralmente, film sulla gioventù) è un fenomeno che non ha un corrispondente in occidente. Film sui giovani ce ne sono in tutto il mondo ma la peculiarità giapponese è di incentrare questi film sugli anni di liceo, visti come un momento particolare della vita che per molti non si ripeterà con tale intensità e sentimento.  Il genere è così sentito e diffuso che esistono addirittura vari sottogeneri. Uno dei più ampi è purtroppo quello incentrato sugli amorini di liceali maschi timidi e introversi che non osano dichiararsi all’amata o di liceali femmine che stravedono per dei bellocci con una messa in piega che neanche i divi del glam-rock  avevano.
Per fortuna, non c’è solo spazzatura e un altro filone molto diffuso è quello che racconta dei club di attività extrascolastiche degli studenti. A differenza che in Italia, dove questi gruppi non esistono o sono fenomeni estemporanei dovuti alla buona volontà di qualche insegnante o gruppo di ragazzi più attivi della media, in Giappone sono una cosa molto seria, con tanto di competizioni composte di eliminatorie locali e regionali fino ad arrivare alla grande finale nazionale, un’emozione che chi partecipa si porterà dietro tutta la vita. Esistono decine di film che raccontano le attività più svariate, talvolta con fare più allegro, altre volte con tono più sentito. Esempi reboanti sono Waterboys, 2001 (il nuoto sincronizzato maschile) o Swing girls, 2004 (un gruppo rock femminile), ma anche Koi wa go, shichi, go (Love is Five, Seven, Five, 2005) dedicato alle competizioni di haiku, e Kirishima, bukatsu yamerutteyo (The Kirishima Thing, 2012), che getta uno sguardo dolce e sensibile al fare cinema a livello minimale, sono esempi interessanti.
Curtain rises è dedicato al teatro studentesco (predecessore illustre Sakura no sono, The Cherry Orchard, 1990, tanto per citarne uno) e, pur senza essere trascinante o particolarmente profondo, merita di essere menzionato per come è incentrato, più che sulla componente recitativa, soprattutto sulla regia, intesa come modo di imparare a concepire un progetto, a scriverlo, a dirigerlo. Allo stesso tempo, e questo è un tema fisso giapponese ma ha comunque un valore da considerare, la regia, pur essendoci un “capo”, è intesa come un atto collettivo: non si può fare teatro (cinema) da soli. Nel caso del film e delle liceali che lo animano, il teatro, la recitazione, diventano così un’occasione per parlare con l’altro, per uscire dalle proprie paure e introversioni.
Il film non è purtroppo del tutto esente dalla moda imperante di far recitare divetti e divette appartenenti a gruppi musicali sulla cresta dell’onda. Le protagoniste infatti, appartengono al gruppo di aidoru Momoiro Clover Z, ma va detto per onestà che nonostante questo limite non recitano del tutto a casaccio. In generale, è la cura dei personaggi e dei dettagli a essere lievemente superiore alla media. Su tutti spicca, nonostante il ruolo defilato, l’unica attrice vera, Kuroki Haru, ventiseienne già pluripremiata (miglior attrice al Festival di Berlino 2014 per Chiisai ouchi, The Little House, 2014 di Yamada Yōji, per citarne uno) che con il suo volto placido ricorda un po’ la Tanaka Kinuyo degli esordi. D’altra parte il regista, Motohiro Katsuyuki, pur non essendo un “autore”, il mestiere lo conosce. Suoi sono per esempio la serie di successo Odoru daisōsasen (Bayside Shakedown, 1998-2012) o il blockbuster Koshōnin Mashita Masayoshi (Negotiator: Mashita Masayoshi, 2005). In questo caso sembra essersi preso una pausa dalle megaproduzioni d’azione per ritagliarsi un momento, se non di riflessione, di sensatezza e sobrietà. [Franco Picollo]

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