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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

THE LONELY 19.00 / THE SOLITUDE OF 19.00 (Kinkyū jitai senge #2: Kodoku na jūkyūji, SONO Sion, 2020)

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L’idea è semplice. Immaginiamo un mondo travolto da un terribile morbo e diamogli un nome: Corona virus. Per evitare il contagio, le autorità impongono un lockdown di un anno. Poi di due… e poi avanti così, quasi all’infinito, tanto che la piaga prenderà il nome del ‘virus dei cent’anni’. Raccontiamo la nostra storia concentrandoci sul quotidiano di una famiglia: una coppia di genitori ed una di sposi. Inizialmente si tenta di resistere al confinamento, ma  poi, poco alla volta, col passare dei giorni e delle settimane, se ne è sopraffatti. La vita, però, ha il suo corso, e dalla coppia nasce un bambino, Otomi. I nonni muoiono, i genitori muoiono, Otomi (Taguchi Kazumasa), che ora ha trent’anni, resta solo nella casa in cui è nato ed ha sempre vissuto senza quasi mai uscirne, se non in quell’unico giorno all’anno in cui l’iniziale del suo cognome gli permette di farlo. Uscire, però, è pericoloso, si potrebbe sempre incontrare qualcuno infetto ed esserne contagiati.

Sono, pur partendo da una situazione terribilmente reale,  narra una storia di fantascienza, che arriva a 40 anni oltre il nostro oggi, dai toni post-apocalittici, in cui il confinamento si accompagna al terrore per gli altri (come fossero zombie) e che richiama alcuni classici del genere quali il romanzo Io sono leggenda (Richard Matheson, 1954) e i film che ne sono stati tratti (L’ultimo uomo sulla terra di Ubaldo Ragona, 1964; 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra di Boris Sagal, 1971; e  Io sono leggenda di Francis Lawrence, 2007). A differenza di queste opere, tuttavia, Sono evita l’azione e ci racconta l’alienazione del quotidiano, il bisogno dell’altro e quello dell’amore, la necessità del contatto fisico. La sua è una fantascienza minimalista, come già lo era per il suo precedente The Whispering Star (2015), storia di una postina che vagava sola nello spazio per consegnare pacchi da un pianeta a un altro. Ad accomunare i due film, oltre all’uso del bianco e nero (limitato nel secondo caso alla sola parte iniziale) e quello dei tempi morti, c’è il concentrarsi su un unico personaggio, sulla sua solitudine, sul suo disagio esistenziale, stabilendo con questi un rapporto di grande intimità. 

Otomi è inorridito dal modo in cui gli uomini vivevano nel passato, quando, ogni giorno, dovevano uscire di casa in una città piena di gente, dire male gli uni degli altri sul posto di lavoro, stringersi le mani sudaticce, concludere la giornata in locali affollati, parlando ad alta voce e finendo con lo sputarsi addosso reciprocamente. Era un mondo in cui non si contavano gli incidenti d’auto, le persone accoltellate per strada e i suicidi. Sarà, però, il semplice rumore di un lungo bacio che minerà le sue certezze e lo spingerà all’incontro con l’altro, costi quel che costi: perché «vivere soltanto, non è abbastanza»… bisogna amare.

The Lonely 19:00 non è solo un esempio di fantascienza post-apocalittica, ma anche, in una certa misura, di futuro rétro, come testimonia la prima parte del film in cui l’ambientazione contemporanea si accompagna alla presenza di oggetti come il televisore e l’apparecchio radiofonico (più avanti ci sarà anche il telefono) di almeno vent’anni prima. Una scelta funzionale all’idea di un tempo che non passa, dove tutto –  così anche gli oggetti – rimane quello che era prima, ed è sempre stato. Un tempo che non fa che ripercorrere i proprio passi, come condannato a un eterno ritorno, o, peggio, bloccato all’infinito su sé stesso. Lo testimoniano anche il continuo ripetersi delle inquadrature, delle azioni quotidiane del protagonista – fra cui quella di segnare ogni giorno con una crocetta, sempre la stessa, il (non) passare del tempo, così come farebbe un carcerato –, del sempre-eguale ticchettio dell’orologio a cucù, del suo quadrante che segna immancabilmente la stessa ora, quella della morte del padre, le 19:00. Perché se senza amore la vita non è vita, senza futuro il tempo non è tempo. 

Dario Tomasi


Titolo originale: 緊急事態宣言#2:孤独な19時 (Kinkyū jitai senge #2: Kodoku na jūkyūji / State of Emergency #2:The Lonely); regia, sceneggiatura, montaggio e musica: Sono Sion; soggetto: Emanuel Zion; fotografia: Suzuki Masaya; Ichikawa Takaho; interpreti: Taguchi Kazumasa (Otomi), Nakajō Saeko, Seki Kōji, Kii Yūko; produzione: Takahashi Masaya per Transformer Inc.; durata: 37’.

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