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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

ODORIKO (Dancer, OKUTANI Yoichirō, 2020)

Presentato e premiato al Cinéma du Réel (Parigi, 12-21 marzo 2021)

★★★★★

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In Giappone, l’industria del sesso (ma sarebbe forse più giusto dire “l’artigianato”) ha e ha avuto pochi rivali al mondo. Fra le sue rappresentanti ci sono le odoriko (letteralmente “danzatrici”, più volgarmente stripper), che si esibiscono nei teatri di “nudo dal vivo”, sparsi in tutto il paese. La diffusione della pornografia su internet, prima, e la pandemia, poi, hanno fatto sì che molti di questi teatri chiudessero definitivamente le porte. Quella delle odoriko è ormai un’arte senza futuro. A questo mondo che scompare, alle sue protagoniste, Okutani dedica il proprio documentario, riprendendo non tanto le loro performances – sono quattro o cinque in tutto, sì e no quindici minuti in due ore di film – ma, al contrario, la vita dei camerini, le attese, il truccarsi e l’indossare, o il togliersi, i costumi di scena. Corpi nudi entrano ed escono di campo, si fermano mostrando con naturalezza e senza ostentazione il sesso, a una videocamera che fissa a lungo quel che accade. A dominare sono questi corpi, visti nella loro quotidianità senza eros, e gli spazi angusti, decadenti e disordinati dei camerini, in cui tutto è ammassato alla rinfusa. Le donne parlano fra loro, commentano il numero che è stato eseguito, telefonano a casa per sapere se i figli hanno già mangiato o per dire che dovranno ritardare. Alcune di loro si lasciano andare a piccole confessioni, raccontano di sé, del proprio vissuto, della loro professione (le domande dell’intervistatore non si sentono mai), senza rammarico alcuno, se non per la consapevolezza che il mondo di cui sono parte è giunto al tramonto.
Alle loro parole, si aggiungono, di tanto in tanto, quelle dello speaker che invita i pochi spettatori ad applaudire l’odoriko di scena e ricorda loro che le pose che vedranno sono il risultato di un lungo lavoro di addestramento, invitandoli a non chiedere alle proprie mogli o fidanzate di fare la stessa cosa.
Gli specchi (l’oggetto forse più cinematografico che esista) la fanno da padrone. Danno più spazio ai piani immobili. Le odoriko vi indugiano a lungo, si guardano, si “cercano”… poiché, come una di loro dice: “Lo specchio è l’anima di una donna”. Poi, dopo che sono uscite di campo, la videocamera rimane a lungo su questi specchi vuoti, in cui più nessuno si riflette, dando tempo all’inquadratura e allo spettatore di “indugiare” su ciò che ha appena osservato e appena sentito. Vedendo questo film, due capolavori del cinema orientale vengono alla mente (e scusate se è poco), uno per la forza e intensità con cui si rappresenta la vita delle lavoratrici del sesso (La strada della vergogna, l’ultimo film di Mizoguchi, 1956), l’altro per la ieraticità e solennità con cui si osserva la fine di un mondo legato allo spettacolo (Good Bye Dragon Inn di Tsai Ming-liang, 2003). Parafrasando quel che è stato scritto nella motivazione del premio conferitogli al Festival del Cinéma du réel, là dove altri non avrebbero visto che della volgarità, Okutani vede dell’arte e fa del cinema. 

Dario Tomasi

Titolo originale: (踊り子, Dancer); regia e fotografia: Okutani Yoichirō; montaggio: Okawa Keiko, Okutani Yoichirō; suono: Hwang Young-chan; produzione (Giappone, Usa, Francia): 24 Images, Asian Network of documentary, Cineric creative e altri; durata: 114’; prima presentazione pubblica: 20 novembre 2020 (International Documentary Festival, Amsterdam).

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