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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

KILLING (Zan, TSUKAMOTO Shin’ya, 2018)

In concorso alla 75a Mostra del Cinema di Venezia

 ★★★★

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In un piccolo villaggio tra i boschi, il samurai errante Mokunoshin (Ikematsu Sōsuke) aiuta e difende la popolazione locale e allena il giovane contadino Ichisuke (Maeda Ryūsei), fratello della donna da cui è profondamente attratto, Yū (Aoi Yū). Un giorno i due uomini vengono reclutati dall’anziano samurai Sawamura (un bravo Tsukamoto, in una parte anche vagamente ironica) per recarsi a Kyoto e combattere a fianco dello shōgun. Mokunoshin però, nonostante la sua destrezza con la spada, soffre di impotenza e non ha mai ucciso nessuno. 

 

Presentato in concorso alla 75a edizione della Mostra del Cinema di Venezia e ancora inedito in Italia, Killing si apre tra solenni rulli di tamburi che rimandano ai grandi film di samurai del passato. Eppure, sin dalla prima inquadratura, Tsukamoto Shin’ya impone la sua inconfondibile personalità autoriale, che si manifesta tra le fiamme di una fornace, in cui una spada, materia metallica viva e vibrante, viene forgiata. Questa immagine materica, di fisicità estrema e radicale, ci riporta immediatamente al celebre Tetsuo: The Iron Man (1989) e, se qui il cyberpunk è sostituito da un omaggio a un genere – il jidai-geki – che ha fatto grande il cinema nipponico del passato, il cuore del discorso autoriale del regista rimane il medesimo: per Tsukamoto il dilemma interiore di questo guerriero che non ha mai ucciso e non riesce ad uccidere diventa tormento del corpo, come se il fisico fosse una prigione per liberarsi dalla quale è necessaria una sofferenza indicibile. 

Lo strazio corporeo e spirituale del protagonista è messo in scena dal regista con il proprio stile peculiare, caratterizzato da ampio uso della camera a mano e da una componente sonora straordinariamente efficace e curata, che offre il meglio di sé nelle straordinarie e ipercinetiche scene di combattimento. Basterebbe la sequenza in cui Mokunoshin è costretto a stringere tra i denti una spada stridente (citazione quasi letterale della celebre scena della vite in Tetsuo) per cogliere la potenza indiscutibile dello stile di Tsukamoto, capace di convogliare allo spettatore tutto il tremendo senso di impotenza e limitatezza sperimentato dal protagonista. E se il finale per un attimo pare liberatorio, con uno zampillo di sangue che somiglia a una copiosa ed estatica eiaculazione, il godimento è subito troncato e sostituito da un rinnovato tormento – la colpa –, ben espresso dal lamento finale della splendida Yū, spettatrice silenziosa del destino dei protagonisti.

 

Jacopo Barbero

 

Titolo originale: 斬 (Zan); regia, sceneggiatura e montaggio: Tsukamoto Shin’ya; fotografia: Tsukamoto Shin’ya, Hayashi Satoshi; musica: Ishikawa Chū; interpreti: Ikematsu Sōsuke (Mokunoshin), Tsukamoto Shin’ya (Sawamura), Aoi Yū (Yū), Maeda Ryūsei (Ichisuke), Nakamura Tatsuya (Genda); produzione: Kaijyu Theater; durata: 80’; anno di produzione: 2018; prima mondiale: 7 settembre 2018 (Venezia 75, concorso).

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