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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

ALONG THE SEA (Umibe no kanojotachi, FUJIMOTO Akio, 2020)

SPECIALE NIPPON CONNECTION (Francoforte, 1-6 giugno 2021)

Vincitore del Nippon Visions Jury Award al 21° Nippon Connection Festival.

Già presentato nella sezione New Directors al 68° San Sebastián Film Festival e nella sezione World Focus al 33° Tokyo Film Festival.

★★★½ 

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Phuong, An e Nhu sono tre giovani vietnamite immigrate in Giappone per lavorare e sostenere economicamente le proprie famiglie rimaste nel paese natio e afflitte da debiti. Le tre abbandonano però il proprio posto come tirocinanti a causa del continuo sfruttamento a cui sono sottoposte e scappano in cerca di un lavoro migliore, diventando così residenti abusive. Grazie alla mediazione di un connazionale, vengono assunte illegalmente su un peschereccio, dove effettuano operazioni di cernita. Un giorno, però, Phuong comincia a sentirsi male e realizza di essere incinta. Con l’aiuto delle due amiche, si reca in un ospedale, dove viene respinta in quanto priva di documenti validi. 

Along the Sea, rara coproduzione nippo-vietnamita, è l’opus n. 2 di Fujimoto Akio, giovane regista giapponese classe 1988, che torna a concentrare la propria attenzione sulle condizioni spesso durissime degli immigrati in Giappone, come già aveva fatto con il suo esordio al lungometraggio Passage of Life (Boku no kaeru basho, 2017) – storia di una famiglia birmana rifugiata nel Paese del Sol Levante. 

Fujimoto apre il film con una stupenda scena in metropolitana in cui scruta nell’anima delle tre giovani in fuga dal proprio primo impiego e, grazie a un sapiente uso di primi e primissimi piani, coglie tutta la loro paura e alienazione rispetto a un ambiente ostile in cui l’integrazione appare sin da subito impossibile. Il Giappone del film è un ambiente freddo e inospitale, stretto nella morsa di un inverno fisico ed esistenziale. Il regista, in principio, accompagna lo spettatore nell’esplorazione delle speranze e ingenuità giovanili delle ragazze, che sognano di aiutare i propri parenti in Vietnam, di sposare un giorno un medico o un cantante famoso e che, pur nella durezza delle condizioni lavorative, si lasciano andare a momenti di gaiezza come la lotta a palle di neve che è bruscamente interrotta proprio dal malore di Phuong, che segna la svolta nel film. 

La pellicola diviene a quel punto un vero e proprio calvario della giovane, che tenta fin da subito di sottrarre la creatura che porta in grembo a un destino – l’aborto – che pare inevitabile. E se all’inizio può contare sul supporto delle due amiche, a poco a poco anch’esse l’abbandonano, temendo che l’ostinazione della ragazza a voler tenere il bambino possa tradursi in conseguenze nefaste per l’intero trio di lavoratrici illegali. Phuong, sempre più isolata – straordinaria è in tal senso la scena nella sala d’attesa dell’ospedale, in cui la ragazza sola è circondata da coppie di novelli genitori che giocano con i propri bambini –, raccoglie tutto il proprio coraggio per provare a salvare il proprio figlio e Fujimoto la bracca con la cinepresa e ne racconta l’inusitata determinazione, ben rappresentata da un lungo piano sequenza in cui la giovane, esausta, continua a trascinarsi in avanti, non disposta alla rassegnazione. 

Along the Sea, a differenza di ciò che potrebbe sembrare, non è un film di denuncia sociale e il realismo esasperato della messa in scena, mai ricattatorio, non si traduce in uno sguardo distaccato o documentaristico: Fujimoto racconta le tribolazioni di Phuong con grande sentimento e una partecipazione solidale che manca nella società giapponese che il film rappresenta. La scena dell’ecografia, in tal senso, è un grande momento di cinema dell’umano, in cui la cinepresa, catturando le lacrime che a poco a poco sgorgano dagli occhi della protagonista – interpretata da una Hoang Phuong straordinariamente intensa –, coglie tutta la fragilità e la dignità di una donna che alla vita non vuole rinunciare. 

Proprio per questo il finale – in cui la ragazza è costretta ad abortire, vista la mancanza di risorse economiche e la difficile situazione lavorativa – risulta ancora più terribile: le amiche, che all’inizio dimostravano un rapporto quasi fraterno, non si rivolgono più la parola e Phuong, al ritorno a casa dalla sua odissea in cerca di salvezza, mangia una zuppa fumante che pare un tentativo di rifocillamento rispetto al gelo umano di cui ha fatto esperienza. Infine, costretta ad adeguarsi a un sistema fondato sulla mera sussistenza e sulla disperazione, accetta di assumere la pillola abortiva, con un gesto che suona come una rinuncia definitiva non solo alla propria carne, ma – rifiutando di mettersi in contatto col padre della creatura, un vietnamita – al proprio passato e alla propria patria.


Jacopo Barbero


Titolo originale: 海辺の彼女たち (Umibe no kanojotachi); regia, sceneggiatura e montaggio: Fujimoto Akio; fotografia: Kishi Kentaro; interpreti: Hoang Phuong (Phuong), Huynh Tuyet Anh (An), Quynh Nhu (Nhu), Do Dinh (Dan), Huynh Tran Huu (Huynh), Utsuno Aya (medico); produzione: E.x.N K.K. (Giappone), Ever Rolling Films (Vietnam); durata: 88’; anno di produzione: 2020; prima mondiale: 19 settembre 2020 (San Sebastián).

 

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