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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

HAPPY HOUR (Happī awā, HAMAGUCHI Ryūsuke, 2015)

SPECIALE HAMAGUCHI RYŪSUKE

Vincitore del Pardo alla Miglior Attrice e di una Menzione Speciale per la Sceneggiatura al 68° Festival di Locarno

★★★★

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Kobe, Giappone. Le quattro amiche Akari, Sakurako, Fumi e Jun durante un picnic decidono di partecipare al seminario “Ascolta il tuo centro”, che si propone di esplorare vie non convenzionali per comunicare con l’altro. In seguito, Jun rivela loro di aver intrattenuto una relazione con un ragazzo giovane e di aver chiesto il divorzio a suo marito Kohei. La notizia crea scompiglio nel gruppo e, dopo una gita presso il centro termale di Arima, Jun saluta le amiche e scompare, dando inizio a una serie di eventi che cambieranno la vita delle protagoniste. 

Happy Hour è il primo film ad aver dato notorietà internazionale a Hamaguchi Ryūsuke, fino a quel momento noto per lo più in patria. Basandosi sul lavoro svolto nell’ambito di un seminario sull’improvvisazione recitativa, a cui parteciparono i diciassette attori esordienti che compongono il cast principale del film, il regista e i suoi sceneggiatori (che si firmano con il nome collettivo Hatano Koubou) raccontano di aver scritto la pellicola a partire dai personaggi, che rappresentano una trasposizione finzionale, chiaramente rielaborata e sviluppata da un punto di vista narrativo, della reale personalità dimostrata dai diversi interpreti durante il seminario. Il risultato è un’opera fluviale nella durata, ma intima nei toni, che racconta il travaglio di quattro personaggi femminili in cerca di una possibile felicità.
Il film parte dalla descrizione di un contesto sociale in cui l’incomunicabilità, specie tra sessi, regna sovrana e in cui il maschio è sempre e comunque privilegiato. Le protagoniste – con l’eccezione di Akari, l’unica delle amiche a essere single e divorziata – intrattengono con i rispettivi mariti un rapporto superficiale, in cui ogni contatto, anche fisico, è pressoché assente. Agghiacciante è, in tal senso, la sequenza dell’udienza in tribunale in cui Jun, senza mai guardare in volto Kohei, parla del loro matrimonio con freddezza e distacco, in un contesto asettico e spietato che la sottopone all’umiliazione di vedersi rifiutato il divorzio per mancanza di “incidenti specifici” nel rapporto col marito. Ma anche Sakurako e Fumi intrattengono con i rispettivi consorti una relazione glaciale e, a differenza di Jun, faticano ad ammettere il fallimento del proprio matrimonio, visto come un’istituzione inviolabile da preservare a ogni costo, come testimoniato dalle parole dell’anziana suocera di Sakurako – incarnazione del Giappone più tradizionalista –, secondo cui “è più facile attenersi a un matrimonio combinato che portarne avanti uno per amore”. 
In questo senso è particolarmente significativa la lunga sequenza del seminario “Ascolta il tuo centro”, in cui le protagoniste, sotto la guida dell’artista Ukai, fanno esperienza di una comunicazione reale, persino fisica, fondata sull’ascolto dell’altro, sulla fiducia reciproca e sulla ricerca di equilibrio e armonia nella relazione interpersonale. È un grande momento di cinema e di incanto silenzioso, in cui Hamaguchi – in una sala dalle luci pallide che pare un limbo estraniato rispetto alla freddezza del mondo esterno – mette in scena il tentativo di entrare in connessione e il piacere di sentirsi parte di un gruppo. Non è un caso che il workshop sia seguito da un aperitivo che pare più una seduta di psicanalisi collettiva, in cui i personaggi si aprono realmente di fronte a persone conosciute da poche ore, ma con le quali sentono di aver stretto un rapporto intimo: a Sakurako, nella scena della metropolitana verso la fine del film, basterà uno scambio di sguardi con Kazama, suo partner durante il seminario, per esprimere un coacervo di emozioni che non riesce a condividere con suo marito Yoshihiko nemmeno con l’ausilio della parola. Similmente, nel corso del film, il marito di Jun, Kohei, ingaggiato come moderatore di un Q&A con la scrittrice Nose Kozue, afferma di essersi immedesimato per la prima volta, tramite la lettura ad alta voce di un racconto, con un personaggio femminile, quando non è mai stato in grado di cogliere o accettare il punto di vista della moglie, barricato dietro un muro di egoismo che è penetrato dall’arte ma non dalla sofferenza della donna. 
Sullo sfondo di tutto questo, Akari è tra le quattro amiche quella dal carattere più scontroso e indipendente. Di professione infermiera, spesso fatica a comprendere le motivazioni delle altre tre ma, in qualche modo, finisce per essere il cuore emotivo del gruppo, per prendersene cura e sperare in una possibile ritrovata pace futura.
Hamaguchi, da grande indagatore dei sentimenti umani qual è, fa un film di relazioni annebbiate, connessioni improvvise (la partenza in nave di Jun e le lacrime di Sakurako, che suggeriscono un legame tra i due personaggi, che non a caso finiranno per compiere un percorso simile), timori quotidiani, gelosie ed egoismi, in cui non tutti i pensieri dei personaggi appaiono immediatamente confessabili o comprensibili, ammantati come sono dal mistero dell’umano e del femminile, a cui il regista pare profondamente interessato, come dimostra anche il successivo Il gioco del destino e della fantasia (Gūzen to sōzō / Wheel of Fortune and Fantasy, 2021). Con uno stile visivo che ricorda Ozu per compostezza e rigore, il regista fa un cinema sommesso, che avvolge lo spettatore a poco a poco e che si affida alla straordinaria bravura degli attori (le quattro protagoniste hanno condiviso, in via eccezionale, il Pardo alla Miglior Attrice del Festival di Locarno), che fanno della propria spontaneità “da esordienti” il punto di forza di una recitazione che con uno sguardo o un gesto comunica tutto ciò che a parole difficilmente può essere espresso. 

Jacopo Barbero


Titolo originale: ハッピーアワー (Happī awā); regia: Hamaguchi Ryūsuke; sceneggiatura: Hamaguchi Ryūsuke, Nohara Tadashi, Takahashi Tomoyuki; fotografia: Kitagawa Yoshio; musica: Abe Umitarō; interpreti: Tanaka Sachie (Akari), Kikuchi Hazuki (Sakurako), Mihara Maiko (Fumi), Kawamura Rira (Jun), Shin Yoshio (Yoshihiko), Miura Hiroyuki (Takuya), Zahana Yoshitaka (Kohei), Shibata Shūhei (Ukai), Demura Hiromi (Hinako), Sakasho Hajime (Kazama), Kugai Tsugumi (Yoshie), Tanabe Yasunobu (Kurita), Shibutani Ayaka (Yuzuki), Fukunaga Shōko (Mitsu), Itō  Yuichirō (Kawano), Tonoi Ayumu (Yoko), Shiihashi Reina (Kozue); produzione: Kōbe Workshop Cinema Project, Fictive, NEOPA; durata: 317’; anno di produzione: 2015.
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