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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

ASAKO I & II (Netemo Sametemo, HAMAGUCHI Ryūsuke, 2018)

SPECIALE HAMAGUCHI RYŪSUKE

In concorso al 71° Festival di Cannes (2018)

★★★

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“Self and Others”: è il titolo rivelatore che, all’inizio di Asako I & II, campeggia sull’opuscolo della mostra di Gochō Shigeo nel Museo d’Arte Nazionale di Osaka: una serie di fotografie in bianco e nero, incorniciate in ordinati quadretti, che la camera di Hamaguchi Ryūsuke scorre in lenta panoramica laterale, accompagnando lo sguardo fisso di una ragazza che le osserva stupita. Soffermandosi, in particolare, sullo scatto di due bimbe gemelle, sul modello delle identical twins di Diane Arbus (e il suo ricalco kubrickiano nei corridoi di Shining). Il film di Hamaguchi guarda proprio ai temi del sosia perfetto e indistinguibile, ai vertiginosi sembianti hitchcockiani, al magnetico doppio gemellare che affascina e perturba, alla tormentata ridefinizione di rapporti amorosi nella crudele contesa tra onnipotenza dell’ego e riconoscimento dell’altro. Dove la duplicazione del soggetto esterno specchia in realtà la scissione interiore della propria narcisistica persona(lità). Nelle pieghe tra self and others, appunto. 

In una torsione psicologica – con solo parziale, e comunque tardiva, redenzione – che segue la nevrotica ricerca della copia conforme ai fantasmi dell’attrazione come irremovibile movente del desiderio. L’identificazione multipla di una donna e di un amore nel corso del tempo: la giovane Asako che spasima per il bel tenebroso Baku, prima scomparso poi redivivo, a distanza di anni, nelle fattezze gentili e protettive di Ryōhei, di cui la donna si innamora gradualmente, travolta dall’incredibile somiglianza di quest’ultimo con l’amato perduto, destinato a rientrare in scena sconvolgendo gli equilibri. 
Grazie alle intense sfumature della ventenne Karata Erika, Hamaguchi delinea un problematico ritratto femminile, dolce e introverso ma irrimediabilmente immaturo e involuto. Che dietro l’aria indifesa e delicata cova un’insensibile e feroce determinazione a imporre la sua volontà sopra ogni cosa: basti vedere la noncuranza disarmante, la distanza affettiva quasi irreale, quando lascia il compagno al tavolo per rituffarsi nell’antica illusione sentimentale, in un climax emotivo senza pathos drammatico. 
Già in una scena iniziale, del resto, i due amanti, dopo un incidente in moto che li ha schiantati al suolo, ridacchiano complici baciandosi come nulla fosse, impermeabili al mondo esterno, come la tragedia (scampata) non li toccasse. Immagine anch’essa duplicata, appena più tardi, nell’abbraccio tra Asako e Ryōhei ricongiunti in mezzo al caos della folla in fuga dal terremoto del Tōhoku: il grado di realtà urbana e sociale che preme ai margini del mélo – senza mai sopravanzarlo – scuotendo la finzione scenica, in un teatro sta per assistere a L’anitra selvatica di Ibsen prima che crollino i soffitti.
Un Hamaguchi meno denso e fluviale che in Happy Hour (2015) o Drive My Car (2021), più vicino alla struttura episodica e alle ellissi temporali di Wheel of Fortune and Fantasy (2021), in cui resta a fuoco il tema del difficile contatto con la vera essenza di chi amiamo. In equilibrio tra l’adesione allo sguardo egoistico ed autoaccecante di Asako, e un cinema della parola che fa le prime prove dello stage teatrale come specchio dei rapporti in (profondità di) campo: nel salotto-palcoscenico in cui l’attrice in erba Maya recita passi di Čechov agli amici, c’è in nuce il seme della riscrittura drammaturgica come struttura dell’intreccio che troverà più ampio respiro nelle nuove solitudini in interni dell’abitacolo di Drive My Car

Daniele Badella


Titolo originale: 寝ても覚めても (Netemo Sametemo); regia: Hamaguchi Ryūsuke; soggetto: dal romanzo Netemo Sametemo di Shibasaki Tomoka; sceneggiatura: Tanaka Sachiko e Hamaguchi Ryūsuke; fotografia: Sasaki Yasuyuki; montaggio: Yamazaki Azusa; musica: Tofubeats; interpreti: Karata Erika (Asako), Higashide Masahiro (Baku/Ryōhei), Itō Sairi (Haruyo), Nakamoto Kōji (Hirakawa), Seto Kōji (Kushihashi), Tanaka Misako (Eiko), Watanabe Daichi (Okazaki), Yamashita Rio (Maya); produzione: Bitters End – Sadai Yuji, Yamamoto Akihisa, Hattori Yasuhiko; durata: 119’; prima uscita in Giappone: 1 settembre 2018; première mondiale: 14 maggio 2018, 71° Festival di Cannes.
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