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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

THE FOREST OF LOVE (Ainaki mori de sakebe, SONO Sion, 2019)

Disponibile su Netflix (anche nella versione estesa The Forest of Love: Deep Cut)

★★★

I due aspiranti registi Jay e Fukami sono in cerca di un soggetto per il loro primo film, con cui sperano di sfondare nel mondo del cinema. Quando un giorno conoscono Shin, un giovane che rivela loro di essere ancora vergine, lo presentano alla prostituta Taeko che, pur rifiutando di iniziarlo ai piaceri della carne, lo presenta alla sua ex compagna di liceo Mitsuko, ragazza alto-borghese che vive reclusa in casa, da un lato a causa dei suoi severissimi genitori e dall’altro per la profonda depressione in cui è precipitata in seguito alla morte, avvenuta anni prima, di Eiko, una giovane liceale di cui sia lei sia Taeko si erano invaghite. L’intero gruppo di ragazzi fa poi la conoscenza di Joe Murata, un pervertito sadomasochista che dapprima seduce Mitsuko e in seguito diviene il regista di un folle film interpretato dai giovani e basato sulle sue stesse gesta da depravato dongiovanni e su una serie di misteriosi omicidi che sta sconvolgendo la zona. 

È quasi impossibile riassumere in poche righe la magmatica e inesauribile materia narrativa di The Forest of Love, primo film di Sono Sion realizzato per Netflix, che ha dato carta bianca al regista sul modello di quanto fatto con Cuarón per Roma e con Scorsese per The Irishman: il servizio streaming statunitense sta infatti cercando di imporsi sempre di più come “porto sicuro” per i grandi autori della contemporaneità, che sulla piattaforma spesso ottengono i fondi e la libertà per realizzare i loro progetti del cuore. In questo caso Sono, anche sceneggiatore e montatore, è partito da un fatto di cronaca reale (gli omicidi seriali commessi da Matsunaga Futoshi sull’isola meridionale di Kyūshū tra il 1996 e il 1998) per dare vita a una fluviale esplorazione dei temi cardine della propria filmografia. Soprattutto nella prima parte, infatti, il regista, anche grazie a una storia che si sviluppa su 3 livelli temporali (1985, 1993 e il presente della narrazione), riesce davvero a tratteggiare con straordinaria potenza le psicologie di tutti i personaggi principali, dominati da pulsioni irrefrenabili di amore, desiderio e morte. In particolare le vicende del 1985, concentrate sugli anni liceali delle protagoniste femminili, costituiscono uno splendido romanzo di formazione giovanile – quasi un film nel film. Gli adolescenti nei film di Sono sono sempre dilaniati da forze tra loro contrastanti: l’oppressione della famiglia, l’autorità scolastica, il perbenismo della collettività, lo sconvolgimento delle prime esperienze amorose, l’iniziazione ai misteri della sessualità (che, come è noto, è spesso un tabù nella società nipponica) e i primi contatti con la morte. Il cineasta giapponese sa narrare questo svezzamento alla vita in maniera unica, con un furore stilistico senza pari e una grande attenzione alla scelta delle musiche, a cui riesce a legare precisi significati: qui il tema portante è il celebre Canone di Pachelbel, una melodia di grande dolcezza, quasi un residuato dell’innocenza perduta. 

Nella seconda metà, però, il personaggio di Joe Murata – vero mattatore della pellicola – prende completamente il sopravvento e The Forest of Love, nonostante alcuni momenti sempre brillanti, si trasforma in un esercizio di stile. Va infatti a perdersi quasi completamente la forte componente emotiva della prima parte e a rimanere sono solo gli eccessi tipici del regista che, in un tripudio granguignolesco che vorrebbe raccontare l’implosione completa della repressa borghesia giapponese, finisce per perdere l’attenzione dello spettatore, privato di qualsiasi forma di immedesimazione empatica nei confronti dei personaggi. Vi è quasi la sensazione che Sono, di fronte alla carta bianca concessagli da Netflix, abbia perso il controllo sul film e non sia riuscito a domare appieno le tante (troppe?) pulsioni narrative che lo pervadono.
Per fortuna nel finale – nonostante un momento piuttosto didascalico in cui Mitsuko, leggendo da un foglio, chiarisce gli aspetti della storia ancora rimasti oscuri – Sono riesce a tirare i fili della vicenda in maniera abbastanza convincente e soprattutto recupera l’emotività della prima parte: non a caso dedica l’ultima inquadratura alle tre ex compagne di liceo (Mitsuko, Taeko e la defunta Eiko), il cui ménage à trois (sottolineato dai molti riferimenti a Romeo e Giulietta) è indubbiamente il cuore del film.  
Nel complesso The Forest of Love, pur non essendo una tra le migliori opere nella vasta filmografia di Sono Sion, resta comunque un esempio di cinema vitale e libero, in cui l’autore – un po’ come l’improvvisato regista Joe Murata nel film – riesce a trarre il meglio dai propri interpreti, costringendoli a prove attoriali in cui corpi e sentimenti sono davvero portati all’estremo. 

Jacopo Barbero


Titolo originale: 愛なき森で叫べ (Ainaki mori de sakebe); regia, sceneggiatura e montaggio: Sono Sion; fotografia: Tanikawa Sōhei; musica: Katō Kenji; scenografia: Matsuzuka Takashi; interpreti: Shiina Kippei (Joe Murata), Kamataki Eri (Mitsuko), Hinami Kyōko (Taeko), Mitsushima Shinnosuke (Shin), Young Dais (Jay), Kawamura Natsuki (Eiko), Nakaya Yuzuka (Ami), Denden (padre di Mitsuko), Matobu Sei (madre di Mitsuko), Hasegawa Dai (Fukami); produzione: Netflix; durata: 151’; anno di produzione: 2019; data di uscita internazionale: 11 ottobre 2019.
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