MONSTERS CLUB (Monsutāzu kurabu, TOYODA Toshiaki, 2011)
SPECIALE TOYODA TOSHIAKI
★★★½
Ryoichi è un uomo che vive solitario in una piccola casetta in mezzo al bosco. Completamente isolato dalla società contemporanea è da questa però ossessionato e spinto da un odio luddistico cerca di distruggerla o cambiarla fabbricando manualmente degli ordigni esplosivi che manda ai presidenti dei vari potentati economici. Ad un certo punto però una strana creatura irrompe nella sua vita portando con sé le apparizioni dei due suoi fratelli, entrambi morti. Essendo anche il padre e la madre deceduti, l’unico legame con la famiglia e con il mondo umano resta sua sorella che un giorno bussa alla porta della baracca.
Monsters Club si apre con una scena molto suggestiva in cui vediamo il protagonista preparare l’esplosivo e metterlo in una valigetta. Seguiamo poi il percorso di questa bomba in una soggettiva dall’interno della valigia stessa, dove si vede quindi solo il congegno ma si odono i rumori provenienti dalla strada, del servizio di consegna e dell’ufficio fino al momento dell’esplosione che però non vediamo perché il film stacca di nuovo su Ryoichi impegnato nel lavoro manuale vicino alla sua baracca ed è a questo punto che compare il titolo. Un bell’inizio, molto ben pensato e che ci catapulta dentro la pellicola fin da subito, l’assenza di immagini “della civiltà”, l’atmosfera immobile, monotona e quasi vischiosa che caratterizza tutto il film è uno dei punti di forza di questo lavoro di Toyoda.
C’è una scena che con qualche piccola variazione si ripete per alcune volte nel corso del film. È quella in cui lo schermo è dominato quasi interamente dal panorama bianco della neve in campo lungo, con Ryoichi in un angolo a destra dell’inquadratura. Questa costruzione scelta con gusto quasi pittorico è impiegata nel tessuto narrativo dell’opera per creare quella distanza, quel salto dagli ambienti interni, scuri e claustrofobici della baracca che dominano la parte centrale del film. A destabilizzare poi il quadro filmico ancor maggiormente è l’improvvisa entrata in scena del mostro/creatura interpretato e creato da Pyuupiru. La strana creatura era già comparsa nelle scene interne ed aveva contribuito a rompere quell’uniformità stilistica che fino a quel punto era stata mantenuta: la feroce critica della società tecnologica fatta in voice over dallo stesso Ryoichi, con le immagini sempre filtrate dalla neve delle montagne, dell’interno dell’abitazione, dei boschi e della legna tagliata dal protagonista, quando non impegnato a costruire gli ordigni esplosivi o a scrivere il suo manifesto contro la società tecnologica/industriale. Il bianco quasi a tutto schermo dello spiazzo innevato, assieme all’apparizione inspiegabile e indicibile della creatura che dà poi il via a quella dei due defunti fratelli: sono queste immagini soprattutto che creano quello scarto poetico che è l’anima di tutto il film e lo rende un’esperienza filmica abbastanza unica, disintegrandone una possibile lettura univoca. Se è vero infatti che l’inizio non lascia spazio a dubbi ed esprime una forte critica verso la società tecnologica ed industriale, ci sembra altrettanto palese che questa istanza è solo un punto di partenza per una successiva e vertiginosa discesa all’interno di un individuo che si vuole realmente libero nella società contemporanea. In questo senso il fatto che il laboratorio del protagonista sia situato nel sottosuolo della baracca potrebbe essere colto quasi come un elemento simbolico. I mostri a cui il titolo si riferisce sono quelli che abitano all’interno di una singolarità tanto speciale, le creature ed i fantasmi sono tanto esterni al protagonista, parte ed emanazione del passaggio claustrofobicamente aperto delle montagne, quanto dentro la sua testa, il suo passato, la sua memoria. Uno dei meriti di Toyoda è quello di non aver semplificato e banalizzato la posizione alla Ted Kaczynski (che resta il punto d’avvio del film) e in questo senso la pressoché assoluta mancanza di scene girate “nella società tecnologica/industriale”, se si esclude il finale, è davvero una scelta azzeccata. Partendo da una ferocissima presa di posizione verso la società dei consumi e quella industriale, Toyoda ci regala così una discesa agli inferi e Monsters Club è letteralmente un viaggio nell’Ade, fra i morti, per i morti e per la morte. La sorella Mikana è, a parte Ryoichi stesso, l’unico membro della famiglia rimasto vivo e che con la vita sembra avere un rapporto “tradizionale”, vuole sposarsi, farsi una famiglia, “diventare uno schiavo” insomma nelle parole del fratello. Potremmo dire che è l’unica persona ancora “effettivamente” viva perché Ryoichi non è propriamente vivo, si trova in quella zona grigia ed indistinta fuori dalla società ed in contatto con mostri e defunti, una specie di psicopompo che ci guida in questo vertiginoso buco di morte che è un’interiorità aperta. Monsters Club è per tutto quanto abbiamo scritto fin ora, quindi, più un poema sul singolo e la sua posizione nella comunità che un trattato contro la società, un tema secondo noi secondario del film, ed in questo senso è di fondamentale importanza la presenza nella pellicola di un libro e dei versi di Miyazawa Kenji. È una presenza sia indiretta, visto che il poeta era originario del Tōhoku ( luogo in cui il film è stato girato, Yamagata) e che del rapporto con la natura selvaggia ha molto scritto, sia direttamente con Kokubetsu (l’ultimo addio) libro che il fratello suicida aveva regalato a Ryoichi, e che nel bel finale ritorna quando del poema vengono declamati i versi finali: “Devi creare la musica da questa solitudine/ inghiotti tutto l’odio e la miseria e canta comunque./Se non hai uno strumento musicale…/ascolta mio discepolo/Suona al meglio delle tue possibilità le canne d’organo fatte di luce che attraversano il cielo.”
Matteo Boscarol
Titolo originale: モンスターズクラブ (Monsutāzu kurabu); regia, soggetto e sceneggiatura: Toyoda Toshiaki; fotografia: Shigemori Toyotarō; montaggio: Bando Naoya; musiche originali: ZAK/Terui Toshiyuki; interpreti: Eita (Kakiuchi Ryoichi), Ken Ken (Kakiuchi Kenta), Kubozuka Yōsuke (Kakiuchi Yuki), Kunimura Jun (padre di Ryoichi), Kusakari Mayū (Kakiuchi Mikana), Matsuda Miyuki (madre di Ryoichi), Pyuupiru; produttori: Harada Mitsuo, Inagaki Mamoru, Kosano Tamotsu; anno di produzione: 2011; durata: 72′; uscita nelle sale giapponesi: 21 aprile 2012.