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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

BELLE (Ryū to sobakasu no hime), HOSODA Mamoru, 2021

 IN SALA DAL 17 MARZO

SELEZIONATO AL FESTIVAL DI CANNES 2021

★★★★½


Suzu, liceale poco sicura di sé e dal passato doloroso, diventa una star nel popolarissimo mondo virtuale denominato U. Qui incontra una spaventosa Bestia, un Drago dal corpo martoriato di cicatrici; dopo l’iniziale diffidenza, tra i due si stabilisce un profondo legame.

È potente il gesto artistico che Hosoda riesce a compiere con Belle: un gesto allo stesso tempo nostalgico, di “ritorno” al proprio cin
ema, ma anche un omaggio alle leggende e ai miti giapponesi; ed è un’opera che pur recando le tracce del ricordo, delicato e colmo di gratitudine, dell’antecedente disneyano, non si abbandona a un vagheggiamento lirico del passato ma trova la propria strada chiara, originale, imponendosi come cinema-presente, film del tutto intriso di visioni e sensibilità contemporanee e future. Sin dalle liriche della canzone iniziale (con l’esplicita citazione “il tempo non aspetta nessuno”), ci viene rivelata l’intima connessione tra Belle e La ragazza che saltava nel tempo (2006) che Hosoda tratta come un archetipo con cui giocare metacinematograficamente, mediante analogie tematiche e formali: dal primo “salto” di Suzu, che rimanda visivamente al primo salto di Makoto, ai colloqui lungo il fiume (Suzu e Shinobu in Belle, Makoto e Chiaki in La ragazza che saltava nel tempo), ripresi frontalmente in campo lungo con le luci del tramonto sullo sfondo, sino agli equivoci amorosi con i personaggi che entrano ed escono dal campo visivo. Se “il tempo non aspetta nessuno”, Hosoda lo rincorre e lo supera, proiettando il suo racconto di formazione in un futuro prossimo in cui il concetto di identità è sempre più tremulo e ingannevole.

Un film dunque sinestetico, plurimo, di abbagliante bellezza, scaturito dall’interno di un immaginario personale ed estremamente vivido qual è quello di Hosoda; un regista che sin dagli inizi del suo percorso artistico ha tuffato le sue eroine in uno scenario avanguardistico, un mondo futuristico e parallelo che stilisticamente contiene le avanguardie del ‘900, il concetto filosofico e l’immagine astratta del ballet mécanique cubista e dadaista, ma anche l’uso violento del colore astratto, pura nota emotiva. Hosoda è anche estremamente attento alle nuove sensibilità riguardo al tema del “mostro” e alla sua innocenza: il suo drago rimanda non solo alla classicità, ma a nuove tendenze dell’arte contemporanea, come i  mostri romantici ed elegiaci dell’illustratrice italiana Loputyn o le bizzarre e delicate creature disegnate da Nagabe in Love from the other side (2019).


L’estetica, in Hosoda, provoca sempre un terremoto interiore: questo primato emotivo rende il suo cinema particolarmente affine alla giovinezza, un’età che il regista esplora “dall’interno”, riproducendone le scoperte e i sentimenti come se li vivesse personalmente. In Belle non c’è, e non c’è mai stata nel cinema di Hosoda, la presunzione di un’osservazione dell’adolescenza con l’occhio esperto e inaridito dell’adulto: il regista “è” i suoi personaggi – ne percepisce lo smarrimento, il disincanto, i nuovi entusiasmi. Il suo istinto lo avvicina all’ “età in cui tutto succede”: il coming of age non solo è paradigmatico di tutte le esperienze successive, ma diviene la più vera, sensibile, innocente esistenza umana. 

Ed è qui, in questo scarto fondamentale rispetto all’animazione disneyana (una differenza che si rivela non solo stilistica ma anche etica) che Belle esce dalla favola per divenire un ritratto, schiacciante nella sua precisione, della condizione giovanile attuale. I ragazzi di Hosoda sono colpevolmente dimenticati (gli fa eco il Sono Sion di The Lonely 19:00, 2020) o sfruttati (come Annette del film di Carax, 2021) e si rifugiano in identità alternative. Il mondo digitale e parallelo di U diviene allora lo spazio dell’immaginazione dove è possibile estrarre la parte più forte di se stessi, che resta silente nella realtà: di qui l’afasia, la “voce che non esce” di Suzu. Il sentire di Hosoda è condiviso da Spielberg, che in Ready Player One (2018) fa ballare i suoi protagonisti sul’abisso: l’adolescenza contemporanea trova un riscatto in altri mondi in cui finalmente riuscire ad essere.

In tale contesto, il disvelamento del sé assume le dimensioni d’un gesto eroico, particolarmente struggente in Belle: è l’atto eroico di una outsider che getta la maschera salvifica e cerca una nuova connessione col reale: non rinuncia ad esso, non ignora la sofferenza al suo interno. Per questo motivo Hosoda realizza il più bel cinema anime del futuro, citando i grandi artisti dell’animazione giapponese – dal Kon di Paprika agli archetipi mecha di Nagai – inserendoli in un immaginario nuovo, molteplice, commovente nella sua vastità. Con il suo dinamismo, le esplosioni coloristiche, l’uso dello spazio a 360 gradi, l’invenzione di un nuovo movimento libero e incurante dei limiti del tempo e dello spazio, Hosoda è l’artefice di un futuro in cui avere fiducia. E in cui è ancora possibile rinvenire tracce di storia – di principesse e draghi, di leggende e miti.

Marcella Leonardi


Titolo originale:竜とそばかすの姫  (Ryū to Sobakasu no Hime); regia: Hosoda Mamoru; sceneggiatura: Hosoda Mamoru; musiche: Iwasaki Taisei, Ludvig Forssell,  Yuta Bandoh; produzione: Studio Chizu; durata: 124’; prima uscita in Giappone: 16 luglio 2021; presentato a Cannes il 15 luglio 2021; riconoscimenti: Premio Animation of the Year, Japan Academy Film Prize (marzo 2022).

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