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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SUDDEN RAIN (Shūu, NARUSE Mikio, 1956)

SFUMATURE DI GRIGIO: IL CINEMA DI NARUSE MIKIO


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Il matrimonio dei coniugi Namiki è nel pieno di una fase di stanchezza, con i due, Fumiko e Ryōtarō, che battibeccano in continuazione per futili motivi. La visita della nipote Ayako, giunta da loro durante una pausa di riflessione dal marito che si è dimostrato in più occasioni insensibile nei suoi confronti, non smorza di certo le tensioni. La vita scorre nella quotidianità del quartiere: sono arrivati nuovi vicini che vorrebbero instaurare rapporti cordiali con i Namiki, le signore si incontrano a fare la spesa, un cane randagio al quale Fumiko porta del cibo fa qualche disastro mettendo la donna in difficoltà nei confronti degli abitanti del vicinato. Intanto alcuni colleghi di Ryōtarō, prevedendo riduzioni del personale, si autoinvitano a cena a casa sua e gli espongono il loro progetto di aprire un locale con Fumiko a servire i clienti. Ryōtarō non è per nulla d’accordo, congeda gli amici e litiga con la moglie, rendendo palesi l’idea del divorzio e l’intenzione di tornare a lavorare al proprio paese, lasciando la città. 

Gli anni Cinquanta sono il periodo della maturità artistica per Naruse: le sue opere, ancor più concentrate sui personaggi rispetto alle precedenti, danno spazio a notevoli ritratti femminili. È il momento in cui realizza diversi capolavori, a iniziare da Meshi (Il pasto) nel 1951, storia di una coppia in crisi, o Inazuma (Il lampo, 1952), sulle vicende di una madre e tre sorelle in precarie condizioni economiche e con rapporti sentimentali tutt’altro che soddisfacenti. Uno dei più noti è Ukigumo (Nubi fluttuanti) del 1955, trasposizione, come Il pasto, di un romanzo di Hayashi Fumiko, storia di una donna innamorata di un uomo che la tradisce, ma che non riesce a lasciare, autocondannandosi a un triste destino. L’atmosfera di Sudden Rain è lieve, nonostante ciò Naruse scolpisce man mano il disgregarsi della coppia in tutta la sua devastazione. Il film si apre su una giornata di festa dei due, che vengono presentati in un atto tanto normale quanto emblematico: mentre sbadigliano. La noia e l’insoddisfazione, sarà chiaro ben presto, hanno avvelenato il loro rapporto. Il regista si muove negli spazi degli interni per cogliere i personaggi rinchiusi nei propri disagi, la casa si fa strumento per la messa in scena delle tensioni intime, e l’interazione tra lo spazio esterno e quello interno – con personaggi che spingono lo sguardo all’interno, come il nuovo vicino, o che varcano la soglia, come il ragazzo che consegna i noodles – rende il quadro dinamico. In una sequenza memorabile la macchina da presa inquadra Fumiko in uno spazio angusto – i tre sono in casa con Ayako che ha terminato di descrivere la propria situazione fallimentare con il compagno -, il marito le ha appena chiesto cosa farebbe lei al posto della nipote. Non è una domanda da poco. L’espressione della donna si incupisce. Pare stia per rispondere. Però improvvisamente la luce cambia e la pioggia (del titolo) interviene a contrappunto dei sentimenti. Fumiko corre fuori richiamata dalla voce del vicino, e aiutata da quest’ultimo, porta al riparo la biancheria stesa ad asciugare. 

Rispetto ad altre figure di mogli dei film di Naruse interpretate da Hara Setsuko, Fumiko è una donna più ironica e consapevole della Kikuko di Yama no oto (Il suono della montagna, 1954), giovane sposa di un uomo indifferente che non la tiene in considerazione, costretta a fare da cameriera ai suoceri; meno affascinante però rispetto a Michiyo di Il pasto. Nella evidente predilezione per personaggi femminili che per lo più soccombono a causa di un destino avverso, Naruse ci ha regalato eroine difficili da dimenticare: Michiyo è anche lei, al pari di Fumiko, sposata con un uomo chiuso nel proprio mondo e molto poco sensibile nei confronti della moglie. A differenza di Fumiko, che nel corso del film rimbrotta spesso il marito, Michiyo tiene dentro sé il disagio crescente, i suoi sorrisi celano un’ambiguità sempre più profonda, fino al momento in cui prenderà la decisione di allontanarsi da un uomo che non si cura minimamente di lei. La sequenza finale di Il pasto, con la donna seduta a fianco del marito, in treno, mentre sta tornando a casa con lui (e quindi alla vita da cameriera di sempre) se da un lato sembra non lasciare spazio ad ipotesi differenti rispetto all’ambito matrimoniale, dall’altro proprio quello sguardo insistito verso il mondo che scorre fuori dal finestrino lascia immaginare un animo non del tutto pacificato con il proprio ruolo.

Similmente Fumiko, nella sequenza che conclude il film, risponde ai lanci del marito di una palla di carta che alcuni bambini hanno fatto cadere nel loro cortile, mentre i piccoli e i vicini li osservano. Le movenze sono quelle di un gioco, che dovrebbe rappresentare una ritrovata armonia dei due coniugi. Ma gli sguardi della donna e la foga di entrambi lasciano trapelare una tensione e un disagio ormai insopprimibili.  

Claudia Bertolé


Titolo originale: 驟雨 (Shūu); regia: Naruse Mikio; sceneggiatura: Mizuki Yōki (tratto da un romanzo di Kishida Kunio); fotografia: Tamai Masao; musica: Saitō Ichirō; interpreti: Hara Setsuko (Namiki Fumiko), Sano Shūji (Namiki Ryōtarō), Kagawa Kyōko (Ayako), Kobayashi Keiju (Sig. Imasato), Negishi Akemi (Sig.ra Imasato), Katō Daisuke (Kawakami); produzione: Fujimoto Sanezumi, Kakeshita Keikichi; durata:90’; prima uscita in Giappone: 14 gennaio 1956.

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