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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

LOVE UNDER THE CRUCIFIX (Ogin-sama, TANAKA Kinuyo, 1962)

INTEGRALE TANAKA KINUYO. CINETECA BOLOGNA 11-30 MARZO

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Periodo Tensho 15 (1587). Toyotomi Hideyoshi, cancelliere del regno e consigliere dell’Imperatore, guida il proprio esercito nella provincia di Chikuzen, situata nell’isola di Kyūshū, la più a sud del Giappone. I soldati sono accampati in preparazione dell’attacco a Shimazu Yoshihisa, il daimyō avversario. Un consigliere militare confida al comandante Ishida Mitsunari una sua preoccupazione: concedere troppa libertà ai preti e ai feudatari giapponesi che hanno abbracciato la religione cristiana potrebbe mettere a rischio il progetto di Toyotomi di unificare il Giappone. Nell’accampamento è presente anche Rikyū, uno dei più importanti e prestigiosi maestri della Cerimonia del tè, oltre che padre di Ogin. Quest’ultima è innamorata, non corrisposta, di Takayama Ukon, il “samurai di Cristo”, un signore feudale che si è convertito al cristianesimo. Il rifiuto di Ukon spinge Ogin, suo malgrado, a contrarre matrimonio con Mozuyo Sōan, un mercante verso il quale non prova alcun sentimento. Quando la donna sembra ormai rassegnata a una vita infelice con Mozuyo, le circostanze e gli intrighi politici orditi da Ishida e Totoyomi fanno sì che le strade di Ogin e Ukon si incrocino nuovamente portando così alla luce i veri sentimenti provati dal “samurai di Cristo” nei confronti di Ogin.


Alla sua ultima prova da regista, Tanaka si misura con un dei generi più nobili del cinema nipponico ovvero il jidai-geki, scegliendo, ancora una volta, di mettere al centro del racconto una figura femminile forte e dai sentimenti contrastanti. La regista si affida a un romanzo storico, sceneggiato da Narusawa Masashige (sceneggiatore degli ultimi film di Mizoguchi) i cui protagonisti sono importanti personaggi della storia giapponese del XVI secolo: dal celebre maestro della Cerimonia del tè Sen no Rikyū, a cui il cinema ha dedicato diversi film, tra cui La morte di un maestro del tè di Kumai  Kei (1989) dove l’uomo è interpretato da Mifune Toshirō, a Ukon Takayama, il cosiddetto “samurai di Cristo”, un Kirishitan Daimyō (i signori feudali convertiti al cristianesimo, una pagina fondamentale della storia giapponese, narrata con grande rigore da Scorsese in Silence del 2016, a sua volta remake del film omonimo di Shinoda Masahiro del 1971); da Toyotomi Hideyoshi, uno dei più importanti daimyō  a cavallo tra il periodo Sengoku e quello Tokugawa, iniziatore della persecuzione contro i cristiani, al comandante militare Ishida Mitsunari, entrambi presenti in moltissimi jidai-geki. La protagonista del film completa, quindi, la splendida galleria di personaggi femminili narrati da Tanaka nel corso della sua breve ma intensa carriera registica: dalla Michiko di Love Letter (1953) colpevole di vivere un amore proibito con il nemico, alle tre sorelle ouzuiane di The Moon Has Risen (1955); dalla sfortunata poetessa Fumiko di The Eternal Breasts (1955) alla devota principessa Ryūko di The Wandering Princess (1960); dalla  fiera e combattiva Kuniko di Girls of the Night (1961) alla Ogin di Love Under the Crucifix costretta a un sacrificio d’amore contro un “rivale” purtroppo invincibile. 

Ci pare tuttavia che la grandezza della regista venga fuori non tanto, o non solo, nella sua abilità a plasmare la materia melodrammatica, più o meno incandescente a seconda dei titoli, quanto nel saper piegare e adattare i codici del racconto filmico ad altri codici, creando così delle affascinanti commistioni, dei “corto circuiti” seduttivi, fecondi di stimolanti interpretazioni. Uno di questi codici, profondamento connaturato alla cultura giapponese, è quello della Cerimonia del tè. Il Cha no yu si innesta, infatti, in modo efficace nella dinamica del melodramma che Tanaka mette in scena: i suoi codici, infatti, sembrano “dialogare” con il rituale che determina e soggioga la passione amorosa tra Ogin e Ukon. È come se questo antico e nobile rito, caratterizzato da regole tanto rigide nella pratica esecutoria (regole definitivamente codificate, storicamente, dal maestro Sen no Rikyū, il padre di Ogin) quanto affascinanti nella loro dimensione spirituale incarnata dai 4 principi base (Armonia, Rispetto, Purezza e Tranquillità) fosse anche un modo per dettare i tempi della seduzione, da un lato, ma anche, dall’altro, della pacifica resistenza che Rikyū oppone a Ishida, prima, e in seguito a Toyotomi. Tra i tanti esempi uno dei più efficaci è costituito dal primo dialogo che si svolge nell’accampamento: alla richiesta, avanzata da Ishida, di dare Ogin in sposa a un mercante (Mozuya), Rikyū “risponde” porgendo la tazza del tè a Ishida che non può rifiutare di prenderla, secondo i crismi della cerimonia. In questo momento Tanaka stacca su un luminoso primo piano che ci mostra Ishida assaporare il tè, a cui segue un controcampo del maestro Rikyū con lo sguardo ieratico rivolto verso il sole che sta sorgendo, concluso da un ulteriore stacco che dà l’abbrivio ai titoli di testa del film. Il Cha no yu è talmente importante nell’economia narrativa e simbolica dell’opera da comparire ben 8 volte, marcando quindi fortemente il plot del film e segnando, in modo inequivocabile, come elemento catalizzatore, diversi e importanti snodi narrativi. Vale la pena di vedere quali siano:

  1. Accampamento militare. Durante una pausa della guerra avviene un dialogo tra Ishida Mitsunari e il maestro Rikyū (“il tè preparato sul campo di battaglia deve avere un sapore particolarmente buono” afferma Ishida). È un dialogo molto importante perché veniamo a conoscere l’intenzione di Ishida di far sposare la figlia di Rikyū a un mercante e, in secondo luogo, che Ogin non è la figlia naturale di Rikyū ma di un feudatario ribelle che si era suicidato.
  2. Dimora di Ogin e Rikyū. Durante il primo incontro tra Ogin e Ukon, la madre della donna sottolinea in modo esplicito come tra la loro famiglia e la sua (di Ukon) si sia “costruito un buon rapporto attraverso la cerimonia del tè”. È questa la scena in cui veniamo a sapere che Ukon è stato rimosso nella campagna della battaglia di Kyūshū a causa della sua appartenenza alla religione cristiana.
  3. Dimora di Ogin e Rikyū, durante l’incontro con un prete occidentale. Al sacerdote viene servito il tè: si tratta di un momento importante perché la lunghezza della cerimonia permette a Ogin di prendere del tempo prezioso prima di rispondere all’offerta di matrimonio che arriva da Mozuyo. La cerimonia del tè dà infatti la possibilità a Tanaka di isolare la coppia, dedicando a loro una lunga sequenza (che meriterebbe, per i movimenti di macchina, una analisi ben più approfondita) che segna la rottura tra i due con il rifiuto di Ukon di concedersi a Ogin (“Non posso rompere il voto. Mi sono offerto a Cristo” afferma Ukon) e lo strappo, nel vero senso della parola, del crocifisso dal collo da parte di Ogin che non accetta di essere rifiutata.
  4. In barca sul fiume Yodo. Sono passati ormai due anni dal matrimonio tra Ogin e Mozuya, i missionari cristiani sono stati ufficialmente banditi in conseguenza dell’editto di Toyotomi del 1587. Durante questo incontro, organizzato subdolamente da Mozuya, sono presenti, oltre a Ogin, anche il sacerdote europeo e Ukon. Ogin si sente profondamente umiliata dalla sprezzante risata di Ukon. 
  5. Castello di Osaka. Toyotomi Hideyoshi presenta, con grande enfasi, Rikyū come il più grande tra i maestri della Cerimonia del tè. Durante questa sequenza c’è un momento di tensione tra i due, tensione che viene regolata e disinnescata, come abbiamo già visto, dai codici della messa in scena della Cerimonia del tè. Da un lato, infatti, Toyotomi afferma di voler costruire una sala da tè interamente dorata mentre, dall’altro, Rikyū sottolinea come il segreto e la vera essenza della cerimonia del tè non consista nello sfarzo e nel lusso: “è un singolo fiore nella neve che ti fa sentire la primavera, non i fiori in piena fioritura.”
  6. Castello di Ōsaka. Sala da tè dorata. Ogin, bendata, viene condotta nella sala da tè completamente dorata che Toyotomi ha fatto costruire. Ogin scopre che – se non si concederà – Toyotomi farà uccidere suo padre Rikyū (“Ottengo quello che voglio a tutti i costi”).
  7. Dimora di Ogin e Rikyū. Un emissario di Ukon arriva da Ogin. Dopo aver assaporato il tè, l’emissario consegna un messaggio a Ogin in cui vi è scritto di raggiungere il suo amato a Kuga. 
  8. Dimora di Ogin e Rikyū. È la sequenza di addio tra Ogin a Rikyū: la prima, che ha deciso di togliersi la vita, indossa il kimono bianco mentre Rikyū le serve per l’ultima volta il tè. Alla cerimonia partecipa tutta la famiglia, la madre e il fratello. È come una sorta di “ultima cena” laica dominata da un senso di martirio e di caducità struggente.

Amanti (e) crocefissi

Nel calvario che Ogin si trova a vivere – calvario che è comune a tante eroine di Tanaka – la vera croce non è incarnata dal crocifisso cristiano, presente più volte nel corso del film, quanto dal rifiuto ricevuto da Ukon. Non c’è dubbio che il suo ostinato diniego sia motivato da una sincera devozione ma, come abbiamo visto, Ogin non esita un istante a strapparsi il crocifisso dal collo (donato da Ukon) nel momento in cui capisce che il “samurai di Cristo” preferisce il figlio di Dio alla figlia di Rikyū. C’è da chiedersi che cosa sarebbe successo se la situazione politica non fosse precipitata con l’editto di  Toyotomi del 1587 che mise a dura prova l’esistenza di tutti i feudatari cristiani ovvero i Kirishitan Daimyō. In realtà, come è stato segnalato da più parti, il titolo inglese, che allude a un amore sotto “l’egida” del crocefisso, pare essere più una strizzata d’occhio al titolo del capolavoro di Mizoguchi, Chikamatsu monogatari (Gli amanti crocifissi) uscito qualche anno prima. 

L’amore, che si consuma in una notte, durante una straordinaria sequenza, carica di velato erotismo, è tutt’altro che all’insegna di un crocefisso. La sequenza a cui alludiamo è quella in cui Ogin e Ukon sono costretti a fuggire perché Ishida ha teso loro un agguato con la complicità di Mozuya. A riprova di quanto il crocefisso sia, in questo frangente, poco determinante sotto il piano simbolico, prima di allontanarsi Ogin tira fuori dal kimono quello che alcuni anni prima si era strappata da dosso per riconsegnarlo a Okun: uno scambio privo di qualsiasi aura di sacralità. Durante questa breve fuga, che li conduce nella casa di un contadino, Ogin si ferisce a una gamba. Il contadino li accoglie con tenera devozione, mette a disposizione la sua umile casa donando loro l’unica cosa di cui dispone: il calore del fuoco. Nel frattempo, Ukon cura la ferita: un taglio orizzontale, coperto di sangue, che egli prima deterge delicatamente con dell’acqua e poi lenisce con dell’unguento messo a disposizione dal contadino. Intanto fuori la pioggia continua, il contadino dice loro che dovranno passare la notte nella casa e, senza poterlo sapere, li lascia soli poiché, rivolto a Ukon, “immagino che tua moglie sia stanca”. Durante quella notte i due si concederanno l’uno all’altra: anche qui viene da chiedersi che cosa sarebbe successo se la moglie di Ukon, nel frattempo, non fosse morta “liberandolo” così da ogni legame. Inoltre, non possiamo non rimarcare il fatto che Ogin sia casta, una castità, ancora un volta, non dettata da motivi religiosi ma dalla speranza, adesso accolta, di potersi dare a Ukon. Tanaka, mettendo in scena la cura della ferita sanguinante come se fosse un rituale, innesca ancora una volta un momento di intensa e forte tensione erotica che allude, senza troppe ritrosie, alla imminente deflorazione di Ogin. Vale anche la pena di sottolineare la battuta di Rikyū rivolta a Mozuya che si lamenta dell’adulterio: il maestro afferma di non poter condannare Ogin e Ukon perché “il loro amore è come la Cerimonia del tè, rispettoso della natura”. 

L’adulterio di Ogin provoca una accelerazione negli eventi: ormai Mozuya è fuori gioco, Ukon si è allontanato a Kuga in attesa di essere raggiunto da Ogin, ma le guardie di Toyotomi circondano la casa. L’ultima Cerimonia del tè si carica così di una forte simbologia sacra: la teiera fumante e, soprattutto, il ventaglio di Ukon (altro oggetto che, in tutto il film, scompare e poi ritorna come elemento vicario dell’amato) che riporta il messaggio consegnato dall’emissario. Con uno struggente montaggio parallelo, Tanaka mostra la vicinanza tra le due anime: adesso è il momento, per Ogin, di indossare quel crocefisso, prima rifiutato, sopra il kimono bianco, e porre fine alla propria vita. 
Valerio Costanzia


Titolo originale: お吟さま(Ogin-sama); regia: Tanaka Kinuyo; sceneggiatura: Narusawa Masashige, dal romanzo di Kon Tōkō; fotografia: Miyajima Yoshio; montaggio: Sagara Hisashi; scenografia: Oosumi Junpei; musica: Hayashi Hikaru; interpreti: Arima Ineko (Ogin-sama), Nakadai Tatsuya (Takayama Ukon), Nakamura Ganjirō (Sen no Rikyū), Takamine Mieko (Riki), Takizawa Osamu (Toyotomi Hideyoshi), Nanbara Kōji (Ishida Mitsunari), Fuji Manami (Uno), Tsukioka Yumeji (Gimi Yodo), Itō Hisaya (Mozuyo Sōan); produzione: Nagashima Hisako, Nakajima Masayuki, Shimada Akihiko, Tsukimori Sennosuke, Wakatsuk Shigeru; durata: 102’; uscita in Giappone: 3 giugno 1962.
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